sabato 23 aprile 2011

Napoli 17 aprile. Assemblea nazionale contro la guerra

All’assemblea hanno assistito complessivamente circa 150-200 compagni.
Non tutte le realtà napoletane che avevano aderito al corteo del giorno prima erano presenti o hanno preso la parola.
In particolare non sono intervenuti Carc (nemmeno presente), Conf Cobas (probabilmente sentendosi rappresentata da redlimk- rete anticapitalista campana, ma di fatto defilata), Studenti federico II altri gruppi studenteschi e partecipanti alla riunione rednet, tranne Cau, Red block e 20 luglio Palermo.
Da fuori Napoli sono arrivati compagni la rete Disarmiamoli Pisa, reduci dal convegno contro l’hub militare, USB, altri della rete dei comunisti, e uno da Bari della Conf Cobas.

Sui muri c’erano solo i nostri materiali, pannello Manduria, mostra e manifesti India e, a parte l’opuscolo del CAU, erano nostre le sole pubblicazioni distribuite.
L’impressione generale è che gli organizzatori considerino la manifestazione del 16 il massimo risultato possibile, ottenuto sì per la tenacia e lo sforzo per superare resistenze e ostilità, ma soprattutto grazie alla priorità data ai punti condivisi rispetto alla critica e lotta per far avanzare linea e pratica più coerentemente antimperialiste.
Di conseguenza, più che ad avanzare nella discussione per elevare livello di unità, mobilitazione e scontro, l’assemblea doveva servire per tenere tutti assieme, tenendo fermi i punti posti dall’appello per la manifestazione, senza andare troppo al di là, né nella critica delle posizioni, né nelle proposte di forme e organizzate e iniziative. La stessa superficialità notarile con cui è stato redatto il report ufficiale dell’assemblea che cita appena alcuni argomenti, lo dimostra.
Nei nostri interventi abbiamo cercato di mettere al centro la necessità del sostegno delle rivolte, invece che alla loro valutazione geopolitica, alla lotta all’imperialismo e governo italiani, qui e ora, invece che rincorrere scenari strategici futuribili per porsi all’altezza delle nuove sfide lanciate dal nuovo protagonismo dell’imperialismo europeo, all’allargamento ed elevamento dello scontro sul “fronte interno della guerra”, a partire dalle forze già in campo, invece che a una ricomposizione del movimento contro la guerra, per smuovere gli incerti.
Abbiamo ottenuto ascolto e rispetto, ma senza fare breccia.
Infatti, l’unica decisione assunta è quella di riconvocarsi tra un mese a Roma, in occasione della manifestazione per la Freedom Flotilla, senza indicare un percorso concreto di lotta in cui impegnarsi collettivamente, chiosando: ogni realtà deciderà se e come partecipare a: 1) Manifestazione nazionale di sostegno alla Freedom Flottilla, 14 maggio a Roma; 2) Giornata nazionale di lotta presso il campo di Manduria, intorno al 18-19 giugno.
Prevale ancora la gestione del possibile sulla coscienza del salto necessario da fare.

Stralci dei principali interventi
La discussione è stata introdotta da Salvatore (Cau), con una sintetica valutazione della manifestazione del giorno prima, valorizzata come manifestazione “particolare”, che si è realizzata superando sbarramenti e un vero fuoco di sbarramento. Il giorno dopo si può dire che il corteo ha dimostrato che “era possibile”, risultato niente affatto scontato, come pure questa stessa assemblea, che si pone come nuovo punto di partenza per una nuova fase di coordinamento e scambio di analisi e proposte.

Roberto (redlink)
Possiamo parlare di una manifestazione dai numeri dignitosi, una buona premessa cui dare continuità. Per questo è bene avere chiari i problemi che hanno impedito di realizzare una mobilitazione più tempestiva e più grossa e con ci continueremo a fare i conti.
C’è quella che possiamo chiamare “assuefazione” alla guerra. Questa volta non è stato necessario scatenare una grossa campagna che per dare enfasi al “dramma umanitario” per legittimare l’intervento. Si è fatta strada, nei settori che tradizionalmente si oppongono alle guerre come tra le masse, una sostanziale accettazione della legittimità degli “interessi nazionali”, specie in una situazione in cui questi si oppongono a un regime massacratore del proprio popolo e in competizione e, una volta tanto non al carro dell’imperialismo americano ma in competizione con gli altri imperialismi europei. Prevale la condizione di precarietà, che costringe sempre più masse ad agitarsi ogni giorno per rincorrere il reddito per sopravvivere e impedisce di cogliere il senso degli avvenimenti. Si è diffuso sempre più il “disincanto”, che fa guardare a questa guerra e fa vedere, a differenza dalle precedenti, non l’orrore e l’arroganza imperialista neocoloniale ma il “minor rischio” di perdite e ripercussioni che essa comporta per gli italiani.
Tutto questo ha prodotto uno sbandamento anche tra gli attivisti e nelle file della sinistra, tra quelli che ritengono mobilitarsi contro la guerra un atto dovuto, anche solo testimoniale, che ancora di più sono disorientati sbandato presenza di “rivoltosi” che combattono il regime di Gheddafi contemporaneamente all’intervento militare della Nato.
Per questi motivi è importante chiarire prima di tutto e con forza che l’intervento militare non aiuta nessuna rivolta, ma serve anzi a dare un monito contro tutte le rivolte del mondo arabo, quelle che ancora non si sono sopite del tutto o che ancora non sono state sconfitte.
L’intervento non serve ad abbattere Gheddafi ma a pilotare un cambio di regime e/o a smembrare la Libia in accordo con i nuovi equilibri di forza negli interessi delle potenze interventiste.
Per questo è stato importante per costruire la manifestazione di Napoli e resta importante per continuare a lotta contro la guerra non fare alcuna concessione a tutti quelli che pongono sullo stesso piano la critica e la denuncia del regime Gheddafi e quelle dell’imperialismo italiano.
Molti sono anche in buona fede, qualcuno ha perfino sfilato con noi in corteo con lo slogan né con Gheddafi né con l’imperialismo, ma ciò non toglie che qualsiasi cedimento verso questa “equidistanza” ci spingerebbe in una spirale di concessioni che inevitabilmente toglierebbe forza alla lotta alla guerra e all’imperialismo: più si mette in primo piano l’inaccettabilità del regime di Gheddafi più diventa accettabile, almeno parzialmente, l’intervento per abbatterlo.
Una rete che, a partire da questi punti, sviluppi coordinamento e comunicazione stabile, che faccia circolare informazione sulle iniziative e porti avanti il dibattito e l’analisi è la proposta cui lavorare da qui ai prossimi mesi.

Sergio (rete dei comunisti)
Siamo oggi al primo momento di confronto nazionale sulla guerra, in corso già da più di un mese e in tutto questo tempo tutti gli appuntamenti di mobilitazione contro la guerra che sono stati messi in campo finora sono stati modesti. Questo dà ancora più valore all’iniziativa che abbiamo preso e dobbiamo essere soddisfatti sia dalla quantità, abbiamo raggiunto gli obiettivi di partecipazione previsti, sia dalla qualità della manifestazione, che ha indicato con chiarezza e senza ambiguità il bersaglio contro cui mobilitarsi, la base di Napoli che è il comando strategico che dirige l’intervento Nato.
Circa le difficoltà che abbiamo dovuto superare e che abbiamo ancora di fronte, aggiungo a quanto già detto che in questo paese buona parte dei movimenti ragionano “da governo”: non si spendono con forze e tempestività per ostacolarne piani e politica, ma stanno a chiedersi: che avrebbe fatto il “nostro governo”?
Altro problema, molto sensibile in prospettiva, è che questa guerra è una guerra “europea”, in cui per la prima volta l’imperialismo USA ha un ruolo defilato rispetto alle potenze europee e il pregiudizio positivo che guarda ancora all’Europa come qualcosa di più progressivo rispetto pesa: è più reagire all’imperialismo quando i governi europei sono in posizione servile.
Inquadrando strategicamente la situazione, la Libia ha una posizione e ruolo importanti per il controllo su fonti energetiche e il controllo sui flussi di migranti.
Nel particolare, il regime libico è quello che ha imposto il vincolo più forte sulle royalties sul petrolio estratto: fino ad oggi il 90% delle royalties sul petrolio libico deve restare in Libia, proporzione comunque remunerativa per la bassa profondità dei giacimenti, che comporta minori costi di estrazione; e per l’alta qualità del greggio estratto, che comporta minori costi di raffinazione.
In Libia c’è dunque uno spazio enorme per far lievitare i profitti sulle fonti energetiche ed è questo che ha mosso immediatamente gli imperialisti europei, specie quelli finora marginali nel paese a intervenire non appena la rivolta da destabilizzato il paese e aperto nuovi scenari.
Circa le rivolte, va ribadito ancora che non sono tutte uguali, ci sono rivolte che cambiano sia le forme politiche che le relazioni economiche, riducendo o eliminando ingiustizia sociale e dipendenza nazionale, altre che portano riforme ma lasciando intatte le relazioni economiche o addirittura le peggiorano, cambiando solo padrone.
Circa i migranti, abbiamo tutti di fronte la dimensione del problema creato dal venir meno del filtro dei regimi arabi, e che col prosieguo della guerra in Libia non può che accentuarsi. È questione decisiva perché “avvicina” la guerra, la rende qualcosa che si vede e si tocca nella vita quotidiana, non un lontano problema di politica estera.
Per concludere, abbiamo una situazione in cui, a dispetto della passività della sinistra e dei movimenti, il 60% degli italiani è contrario alla guerra. Occorre capitalizzare questo potenziale consenso per noi di opinione pubblica dandoci gli strumenti per rendere capillare la nostra informazione e denuncia.
Sull’altra parte abbiamo da approfondire l’analisi, imparare a maneggiare la “guerra europea”, che è il lavoro cui saremo impegnati nei prossimi anni, come bene indica l’opuscolo realizzato dai compagni del CAU.
E bene cominciare subito, ponendosi come prospettiva quella di lavorare a una grossa manifestazione internazionale da tenersi a Bruxelles, per colpire, allo stesso modo in cui abbiamo fatto ieri qui, quello che il centro politico che detta le strategie di questa e probabilmente delle prossime guerre.
Infine, due parole in morte di un compagno. L’assassinio di Vittorio rivela oggi la dimensione assunta dalla questione palestinese e la nuova e sempre più stretta alleanza tra Arabia Saudita e Israele. Questa non può lasciare nessuno internazionalizzazione della questione, nessuno deve intromettersi dall’esterno. Per dare questo messaggio hanno assassinato Vittorio Arrigoni, proprio mentre stava per tornare per partecipare alla preparazione della nuova Freedom Flotilla. In un certo senso possiamo considerare Vittorio come l’undicesimo caduto della prima Flotilla.
Questo rende ancora più importante per tutti qui partecipare il prossimo 14 maggio alla manifestazione nazionale per la Palestina e la Flotilla, occasione che potremo utilizzare per tenere il giorno dopo, una nuova assemblea nazionale contro la guerra e proseguire il lavoro e il confronto iniziati oggi.

Walter (Rete Disarmiamoli Pisa)
Non abbiamo partecipato alla manifestazione di ieri perché impegnati in un convegno sul progetto di hub militare a Pisa a cui stavamo lavorando da tempo e che abbiamo vissuto idealmente come una forma di essere presenti qui. Abbiamo anche elaborato un documento che vorremmo proporre all’assemblea, se ci sarà il tempo.
Il progetto di hub militare, che da Pisa raggiunge il porto di Livorno, è il piano più avanzato ed esteso di integrazione e fusione di civile e militare di economia di guerra che pervade tutto un territorio. Non è un caso che abbia luogo in una regione “rossa”. Abbiamo visto tutti che mentre Berlusconi ancora nicchiava sull’intervento Napolitano e l’opposizione parlamentare salutavano l’aggressione come giusta e necessaria.
Il PD è più interventista di Berlusconi e questo riflette i contrasto tra due borghesie, quella al governo, che si regge sull’alleanza politica con la Lega, espressione prevalentemente piccolo borghese e bottegaia, e quella all’opposizione con più spiccati interessi internazionali e legata all’Europa rappresentata dal PD.
Per questo è europea la rete di coordinamento e mobilitazione che dobbiamo costruire e la grossa mobilitazione internazionale cui dobbiamo lavorare.
[A fine dibattito il documento uscito dal convegno è stato letto all’assemblea, in un roimo tempoo sembrava perché lo approvasse. Il ripetuto richiamo alla Costituzione, non solo all’art.11, e una visione riduttiva dell’imperialismo italiano, visto esclusivamente come subalterno agli USA, hanno portato diversi compagni a intervenire per opporsi con decisione alla sua sottoscrizione. Alla fine il, contrasto è stato ricomposto, da una parte richiedendo solo che il testo fosse citato nel report e incluso tra i contenuti a disposizione del sito, dall’altra dicendo, quali che siano le differenze che emergono, non è ancora il momento di “trarre sintesi” dal dibattito, fermo restando i paletti posti dall’appello del 16.]

Red Block
Ci troviamo oggi in una situazione in cui il movimento contro la guerra è molto più ristretto che anni fa. Questo ha un aspetto negativo, minore forza oggettiva. Ma c’è anche un aspetto positivo, dovrebbe avere, o per lo meno potrebbe, maggiore chiarezza di analisi e coerenza di azione e sono queste che possono farlo crescere in dimensione e rafforzarlo.
Per questo serve approfondire l’analisi, in primo luogo delle rivolte e dell’imperialismo, senza limitarsi all’apparenza: l’imperialismo è ed è sempre stato multipolare e in ogni caso il nostro compito è lottare in primo luogo contro l’imperialismo italiano, la borghesia imperialista italiana e il governo che la rappresenta.
Questo è il primo obiettivo che ci siamo posti anche localmente, realizzando iniziative immediate contro l’aggressione e che sono ancora più importanti in un territorio che è in prima linea nel decollo dei bombardieri che nell’arrivo dei migranti. Iniziative nazionali su questo sono assolutamente necessarie, prendendo esempio dalle esperienze avanzate che su questo ci sono state e che abbiamo ascoltato ieri a fine corteo.
Infine, come antimperialisti, volevamo segnalare una ricorrenza importante, i 10 anni dal g8 di Genova e dall’assassinio di Carlo Giuliani. Riconosciamo tutti il carattere antimperialista del movimento per cui Carlo è stato assassinato e nel decennale proponiamo a tutti i movimenti, giovanili e contro la guerra e la globalizzazione imperialista a di tornare a Genova non per la commemorazione che Agnoletto e soci stanno preparando ma riprendendoci le strade, con spirito combattivo e di rivalsa.

Giosue (CAU)
Durante i giorni delle rivolte nel mondo arabo, volendo approfondire reazioni e atteggiamento dalla parte dell’imperialismo, scoprimmo con sorpresa che le borse e i titoli delle imprese interessate all’area, invece che precipitare per effetto della destabilizzazione dei governi, salivano, come se intravvedessero nuove prospettive di profitto dall’apertura e liberalizzazione economica invece che rischi da instabilità politica. Ci è venuto allora un dubbio. Per dirla con una battuta: come è possibile che tanti compagni, che giustamente salutano le rivolte, ragionano come Tremonti?
Nelle settimane successive le cose sono state più chiare: è stato evidente da una parte che il crollo dei regimi in Tunisia ed Egitto non ha aperto uno scenario di crisi per l’imperialismo ma, anzi, va riconosciuto chiaramente che l’intervento militare in Libia sarebbe stato impensabile senza la situazione prodotta dalla precedente destabilizzazione di tutta l’area.
L’altro elemento che emerge chiaramente è il ruolo, la maturazione e il protagonismo dell’imperialismo europeo, il cui blocco, in questa occasione è riuscito a mantenersi coeso, anche se con contraddizioni ed è ben chiaro il ruolo decisivo della Libia nella penetrazione dell’UE verso il mediterraneo e che questo è la prospettiva cui tematizzare l’analisi e le lotte da qui al futuro.

Proletari comunisti
Per quanto riguarda la manifestazione sono d’accordo nel ritenerla un’iniziativa corretta e complessivamente riuscita, ma solo a patto che sia un punto di partenza di un nuovo percorso collettivo. Senza questa continuità definirla una vittoria sarebbe trionfalismo parolaio.
Serve la rete per approfondire l’analisi, il dibattito e il coordinamento fra noi, ma solo se ciò serve ad avanzare nell’iniziativa e costruire fatti concreti che ostacolino la guerra mettano in difficoltà il governo, che evochino in qualche misura la rivolta che anche in Italia è necessaria per abbattere un regime odioso.
Apprezzo lo sforzo di analisi che alcuni compagni hanno prodotto per disegnare le tendenze di sviluppo dell’imperialismo oggi, ma non mi convincono. Come è già stato detto, da sempre esistono collusione e lotta tra i vari poli imperialisti come all’interno di uno stesso polo. Il prevalere di fase in fase di un aspetto o dell’altro non deve indurci a trarre conclusioni infondate.
Soprattutto non credo che ci serva rincorrere l’imperialismo europeo in ascesa, fino a indicare come principale prospettiva di lavoro la costruzione di una grande mobilitazione internazionale a Bruxelles, quando, comunque la si pensi sulle sue sorti, il nostro compito resta batterci qui e ora contro il “nostro” imperialismo, allargare quello che in altri interventi è stato definito il “fronte interno” dell’aggressione alla Libia.
E, prima ancora, nelle nostre analisi dovremmo mettere al centro le rivolte, come appoggiarle per favorire la sconfitta del “nostro” imperialismo e quale contributo dare per trasformarle in rivoluzioni.. È vero che non tutte le rivolte sono uguali, ma questo non significa giudicarle sulla base della loro direzione attuale per rivolgere lo sguardo altrove.
Venendo alle proposte, oggi è il Sud del paese zona di guerra, qui si concentrato le basi da cui partono i raid e i campi in cui i migranti sono ammassati. E, come è stato già detto, sono proprio i migranti quelli che “ci portano la guerra in casa”, che la rendono un fatto tangibile nelle vita quotidiana delle masse e perciò un fattore decisivo per la costruzione e ampliamento della lotta sul “fronte interno”.
Ma ce’è modo e modo di intervenire tra i migranti. C’è la mera solidarietà, che, al di là delle buone intenzioni, li riduce a soggetto passivo da assistere e difendere, al massimo da aiutate a fuggire. C’è l’unità di classe, che li chiama a essere soggetto attivo di lotta e ribellione, a organizzarsi prima di tutto tra loro e poi in unità coi proletari e disoccupati italiani. Ecco questa strada abbiamo percorso a Manduria, come documentato da tanti video in rete e dal pannello che abbiamo portato. Il 2 aprile il nostro tentativo di forzare il blocco ed entrare nel campo è stata la scintilla che ha innescato una grandiosa rivolta dall’interno che ha cambiato la situazione come dalla sera alla mattina spazzando via i controlli asfissianti che l’avevano trasformato in un CIR/Lager e le ronde razziste che nei primi giorni avevano avuto spazio, per la verità più sui media che nella realtà. Questa via proponiamo di percorrere insieme, con una manifestazione nazionale da tenere al campo di Manduria la seconda metà di giugno, orientativamente il 18-19, a seconda dei tempi e sviluppi della guerra in Libia e di conseguenza della situazione del campo, al momento non del tutto chiara.
Pensiamo a una manifestazione che preveda un momento di forzatura, non un presidio pacifico, per proseguire lungo la strada della rivolta e della trasformazione dei migranti in risorsa della lotta sul “fronte interno”, in arma molto più forte ed efficace dell’unità coi cosiddetti pacifisti sulla base degli equilibrismi di formule.

USB
Non eravamo presenti nazionalmente a Napoli perché impegnati territorialmente, ma abbiamo voluto essere qui oggi perché sappiamo bene guerra e attacchi ai lavoratori sono due facce della stessa medaglia, due aggressioni da combattere e sconfiggere insieme.
Da una parte il movimento contro la guerra senza i lavoratori non va da nessuna parte. Dall’altra i lavoratori senza fermare la guerra saranno i primi a pagarne i costi sia in termini economici che politici, con nuovi attacchi, sacrifici, restrizione di diritti e libertà.

20 luglio Palermo
Stentiamo a diventare movimento di massa perche ci mancano l’analisi e quegli strumenti di ricomposizione che invece l’imperialismo si è dato di fronte alla crisi, accelerando guerre e sfruttamento dei territori, nucleare, “militarizzazione” del sapere. Contro tutti questi occorre mobilitarci, per quanto ci riguarda a partire dalla prossima manifestazione a Trapani, dove insistono sia la base da cui partono gli aerei per la Libia, sia io campo in cui sono concentrati i migranti.

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