sabato 25 febbraio 2012

CONTESTATO IL MINISTRO PROFUMO A PALERMO

Oggi un centinaio di studenti medi e universitari dei collettivi studenteschi e una delegazione di lavoratori precari della scuola e del policlinico hanno presidiato dall'inizio della mattinata l'aula magna della facoltà di ingegneria dove era atteso il Ministro della Pubblica (?) Istruzione Profumo che avrebbe presenziato ad un convegno con le massime cariche universitarie locali.

Gli studenti che vivono sulle propria pelle, così come lavoratori e masse popolari, le politiche d'austerity e di "sacrificio" di questo nuovo governo "tecnico" ma appoggiato politicamente dai maggiori partiti PD-PDL, fino all'arrivo del ministro hanno scandito slogan quali "Ma quale sacrifici, ma quale austerità, fuori i banchieri dall'università" e "Noi la crisi non la paghiamo".
In particolare gli studenti del liceo socio-psico-pedagogico Regina Margherita, nelle ultime settimane sono in lott per combattere uno degli effetti ai tagli all'istruzione: l'accorpamento degli istituti che nel caso particolare prevede la cessione di circa un terzo delle classi all'istituto tecnico commerciale Ferrara e gli studenti dell'istituto tecnico geometra Rutelli con problemi analoghi ed erano le principali scuole presenti all'iniziativa.

Sono state denunciate le posizioni  prese dal ministro circa la continuità con la riforma , le dichiarazioni irrispettose verso gli studenti definiti "fannulloni e sfigati" da ministri e sottosegretari, l'attacco al valore legale del titolo di studio, il ruolo che il ministro Profumo ha avuto durante la sua presidenza al Politecnico di Torino nel criminalizzare gli studenti durante il G8 University Summit e in seguito in quanto puntuale applicatore della riforma Gelmini. Adesso la sua azione ministeriale è in piena continuità con la riforma
Gelmini del precedente governo.


In una cittadella ampiamente militarizzata studenti e lavoratori hanno ribadito che l'università è casa propria e che il Ministro non è il benvenuto.


Messaggi di solidarietà e vicinanza nella lotta sono stati mandati ai manifestanti che nelle prossime ore marceranno nella valle di Susa alla manifestazione nazionale NOTAVe  ai militanti arrestati recentemente nonchè a tutti i giovani studenti ribelli e resistenti che dalla Grecia a tutta Europa e non solo fronteggiano con la lotta le politiche antipopolari dei governi borghesi.

Infine all'arrivo dell'auto blu il Ministro alla sua discesa è stato bersagliato da fischi, slogan e ha fatto il suo ingresso nell'aula magna della facoltà d'ingegneria impietosamento circondato e protetto da agenti della digos. In corteo gli studenti sono poi andati verso i locali dell'Ersu occupandone simbolicamente i locali.

Una mattinata di lotta per gli studenti palermitani nel solco delle grandi mobilitazioni studentesche degli ultimi anni contro i governi dei padroni.

venerdì 24 febbraio 2012

DOMANI A PALERMO IL MINISTRO PROFUMO, CONTESTIAMOLO!




"PROFUMO" D'AUSTERITY

Oggi è il giorno di Francesco Profumo, ministro della “pubblica” istruzione, in visita a Palermo.
Tra le sue tappe, previsto un incontro con le istituzioni accademiche dell'ateneo palermitano oltreché con una delegazione di docenti e ricercatori. L'appuntamento, previsto presso la facoltà di Ingegneria, vede mancare dalla lista degli invitati un solo soggetto, grande e collettivo, sicuramente vero protagonista della vita universitaria, la “componente studentesca” delle scuole e dell'università.
Eppure il confronto con gli studenti, al “tecnico” ministro Profumo, potrebbe chiarire le idee su alcune questioni alquanto importanti per la nostra vita.
Facciamo alcuni esempi: la Riforma-Gelmini (LE riforme, anzi) tanto per cominciare; riforme di cui è stato primo promotore e sponsor d'eccellenza al tempo in cui ricopriva la carica di rettore del Politecnico di Torino. Riforme che, a noi studenti, stanno costando tanto e su cui qualcosa da dirgli l'avremmo.
Oppure il suo discorso d'insediamento alla carica di Ministro della Repubblica quando disse che “bisogna continuare sulla strada di queste riforme nel nome della liberalizzazione del mercato (?) della formazione e verso una accresciuta aziendalizzazione dell'università. Anche su questo avremmo qualcosa da dire visto quanto (e da tempo ormai) scottiamo i costi dell'università-impresa sulla nostra pelle di studenti e giovani precari.
O ancora: vorremmo anche chiedergli se è a conoscenza di cosa significherebbe per migliaia di persone e decine di atenei “abolire il valore legale del titolo di studio” come da lui proposto nelle scorse settimane: perchè ciò significherebbe sancire per legge l'esistenza di atenei di serie A e atenei di serie B; ma magari non gli hanno ancora spiegato cosa ne pensiamo noi studenti!
In realtà, ironia a parte, sappiamo bene non solo che quest'uomo è pienamente consapevole delle conseguenze delle politiche sue e del governo di cui fa parte, e sono tutti esiti da lui assolutamente auspicati e desiderati: che questo ricada sulla nostra pelle non importa!
Non importa a lui come al governo “tecnico” di cui fa parte: quello targato Monti-Napolitano; il governo della “macelleria sociale”, della cancellazione di ogni diritto dei lavoratori e dei giovani; l'esecutivo dei “sacrifici”, delle “lacrime e sangue” ma solo per qualcuno (poco importa se questo “qualcuno” rappresenta il 99% degli italiani); il governo delle banche, della Goldman Sacks, dei padroni industriali e di Confindustria; e infine, il governo della repressione della protesta, degli arresti ai NoTav (oggi in corteo in ValSusa).
Ancora una volta, insomma, il governo dei ricchi, dei poteri forti, della finanza e del profitto.
 E nel frattempo – mentre destra e sinistra parlamentari fanno a gara a chi è più “amico fedele” di Mario Monti - il paese va a rotoli, le masse e i settori sociali più vulnerabili trascinati sul baratro della (non)sopravvivenza, scuole e università in pezzi.

Per queste semplici ragioni abbiamo deciso - nella sua visita a quella che continuiamo a considerare casa nostra, la nostra università - di contestare Francesco Profumo, ministro tecnico della pubblica istruzione che tecnicamente ( e scientificamente) si sta rendendo colpevole di uno degli attacchi più pesanti e insensati al nostro presente, oltreché al nostro futuro!

CONTRO L'AZIENDALIZZAZIONE DELLA FORMAZIONE
CONTRO L'ABOLIZIONE DEL VALORE LEGALE DEL TITOLO DI STUDIO
CONTRO IL GOVERNO DI BANCHE E PADRONI

I SACRIFICI LI FACCIANO LORO, NOI ABBIAMO UN FUTURO DA RICOSTRUIRE!!!

Collettivo Venti Luglio (scienze politiche); Officina Autorganizzata; Collettivo Universitario Autonomo; Box3 Autogestito (Lettere e Filosofia); Laboratorio per l'autoformazione (scienze politiche); Collettivo di Scienze MM.FF.NN; Occupy Palermo; Rete dei Collettivi Studenteschi; Red Block; Collettivo Autorganizzato Accademia delle belle arti; Coordinamento Studenti Medi Palermo; Studentato Autogestito Anomalia

INIZIATIVA NO TAV A PALERMO, LIBERI TUTTI!



Sabato 25 Febbraio gli abitanti della Val Susa hanno indetto una nuova manifestazione nazionale contro lo scempio della TAV e a sostegno dei militanti NOTAV arrestati, bersaglio di una montatura giudiziaria che ha lo scopo di intimidire chi da più di 20 anni lotta per difendere il proprio territorio contro speculazione di padroni e politici da destra a "sinistra", ma anche di colpire chi da Nord a Sud ha solidarizzato attivamente negli ultimi mesi partecipando alle manifestazioni in Valle. 
In questi anni la lotta No Tav è stata capace di generalizzarsi in maniera dinamica e trasversale, diventando anche lotta contro il governo Berlusconi, contro l'attuale governo Monti, contro la falsa opposizione del PD che invece invoca la repressione contro la popolazione che si oppone a tutto ciò, contro la repressione poliziesca, assumendo sempre più la forma di una lotta di resistenza popolare.

Una delegazione di compagni e compagne di diverse aree politiche partirà da Palermo e parteciperà alla manifestazione, chi invece per ovvi motivi logistici non potrà andare è invitato a costruire e partecipare a un'iniziativa gemellata di informazione e solidarietà con la lotta No Tav al fianco dei valsusini e dei compagni arrestati, Sabato pomeriggio alle ore 16:00 Pza Massimo


APPELLO PER UNA NUOVA MARCIA NO TAV IN VALLE DI SUSA

DA BUSSOLENO A SUSA – SABATO 25 FEBBRAIO 2012

RITROVO DALLE ORE 13 IN PIAZZA DELLA STAZIONE A BUSSOLENO

Il popolo NO TAV scenderà ancora una volta in strada per ribadire il proprio rifiuto al progetto inutile e devastante della nuova linea ferroviaria Torino-Lione.

La manifestazione è stata organizzata in collaborazione con la Comunità Montana e l’assemblea dei sindaci della val Susa e val Sangone per ribadire l’unità del territorio nel respingere quest’opera.

Sarà un’ occasione per rilanciare la mobilitazione e sancire la legittimità della resistenza in corso da mesi contro il cantiere di Chiomonte, area militarizzata.

Esprimeremo anche in questa giornata la nostra vicinanza e solidarietà nei confronti delle persone arrestate e inquisite per aver lottato al nostro fianco e invitiamo tutte le loro famiglie a partecipare con noi a quella che sarà una grande giornata di testimonianza e gratitudine.

Saranno bene accetti anche questa volta tutti coloro che giungeranno in valle per supportare le istanze del movimento NO TAV che sempre più sta diventando simbolo di riscossa per chi lotta contro i poteri forti e riferimento per le idee di un altro mondo possibile.

Vi aspettiamo numerosi e determinati.

IL MOVIMENTO NOTAV

sabato 18 febbraio 2012

Assemblea PalermoNOTAV verso la manifestazione del 25 febbraio


Due appuntamenti a Palermo per preparare la partecipazione palermitana  alla manifestazione nazionale per la liberazione degli arrestatati NOTAV.

Mercoledi' 22 ore 17 presso sede Slai Cobas per il sindacato di classe Via G.del Duca 4
Giovedi' 23 Febbraio dalle ore 17:00 presso Centro Sociale ExKarcere
proiezione video NOTAV
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ASSEMBLEA PALERMO NOTAV VERSO LA MANIFESTAZIONE DEL 25 FEBBRAIO IN VAL DI SUSA
UNA DELEGAZIONE DI COMPAGNI/E PALERMITANI/E PARTECIPERA' ALLA MANIFESTAZIONE PER LA LIBERAZIONE DI TUTTI E TUTTE iI NOTAV RAGGIUNTI DAL TEOREMA CASELLI
All'alba del 26 gennaio, circa 40 persone in tutta Italia sono state raggiunte da misure repressive e sono attualmente in carcere o agli arresti domiciliari. Queste misure preventive, orchestrate dal procuratore Caselli, vorrebbero intimidire il movimento NO TAV, che da 22 anni lotta contro la costruzione di un progetto costoso, inutile e dannoso. Il movimento No Tav è diventato un punto di riferimento per tutte le lotte sociali, capace di costruire, partendo dall'opposizione ad una grande opera inutile, una vasta e variegata comunità in lotta.
E' con questa consapevolezza che il 25 Febbraio scenderemo in piazza, con chi lotta per costruire una società e un mondo dove libertà, uguaglianza, solidarietà non siano solo parole ma pratica quotidiana.

Dietro quelle barricate, in quei boschi,
davanti a quelle recinzioni c'eravamo tutt*!
La valle non si arresta! Liber* tutt*!

mercoledì 15 febbraio 2012

STUDENTI E LAVORATORI DELLA SCUOLA IN PIAZZA A PALERMO


Circa duecento studenti del Liceo Psicopedagogico Regina Margherita di Palermo e di altri istituti ieri 14 Febbraio hanno  manifestato contro una tagli e accorpamenti delle scuole fatti gravare su studenti,  personale ata e docenti.
Il corteo è partito dal  plesso centrale del liceo, in centro città, con la decisione unanime di attuare blocchi stradali lungo le arterie principali, provocando non pochi disagi al traffico mattutino. Dopo un paio di chilometri i manifestanti, colpiti dalla pioggia incessante, hanno mantenuto la volontà di continuare il corteo selvaggio nonostante il maltempo, arrecando altri danni alla circolazione.
Arrivati alla sede del Provveditorato gli studenti hanno invaso l'ufficio entrando senza permesso alcuno e gridando con forza slogan come "la lotta è dura e non ci fa paura", "se non cambierà lotta dura sarà" e altri ancora, cosa non ben vista da chi vi era all'interno, che subito ha fermato la testa del corteo all'ingresso dell'ufficio. Con caparbietà alcuni studenti hanno chiesto e, infine, ottenuto che scendesse chi di competenze per ottenere risposte riguardo il cuore delle motivazioni per le quali  gli studenti protestavano: il liceo R. Margherita è stato colpito da un forte taglio di classi, 24 su circa un centinaio che, senza dare spiegazioni agli studenti e ai genitori, saranno spostate in un altro istituto, l'Istituto Tecnico Commerciale Ferrara di Palermo.
Un problema che non solo arreca disagi agli studenti, che da un momento all'altro si dovranno spostare in un altro punto della città, ma arreca problemi anche al personale docente, precari che rischiano licenziamenti; stessa sorte rischia il personale ATA.
Non solo questi gli argomenti discussi tra gli studenti e l'ufficio del provveditorato, si è parlato anche di sicurezza degli edifici scolastici.
Un funzionario del Provveditorato ha risposto agli studenti che non sussiste il rischio di licenziamento per i sopradetti, ma che in ogni caso gli studenti avrebbero dovuto chiedere chiarimenti all'Assessorato agli Studi.
Gli studenti si sono allora recati all'Assessorato dove sono rimasti in presidio fin quando una delegazione non è stata ricevuta dall'ufficio responsabile.
La delegazione ha ottenuto ulteriori chiarimenti sullo svolgimento e sulle motivazioni della cessione delle 24 classi, dovute a "una legge che obbliga gli istituti a non poter contenere più di un certo numero di studenti e che, quindi, il liceo è stato costretto alla cessione".
Il presidio è terminato dopo che la delegazione è scesa ed ha illustrato agli studenti la situazione ma non è finita qui: gli studenti hanno ottenuto un ulteriore tavolo per giorno 24 Febbraio per discutere e lottare contro questa situazione di disagio.

Red Block, presente ieri in delegazione, ha solidarizzato e partecipato al corteo e al presidio; è una richiesta più che sacrosanta quella degli studenti del R. Margherita che, da un momento all'altro e senza nessuna colpa, non vuole accettare che diversi studenti debbano spostarsi in un'altra scuola, con possibili conseguenze, tra le altre, di aver sostituito il proprio Consiglio di Classe.
Nell'ambito dei tagli e "razionalizzazioni" determinati dalla riforma Gelmini applicata dall'attuale governo, vi è quella degli assistenti tecnici della scuola e delle Cooperative sociali. Battaglia portata avanti dai lavoratori organizzati nello Slai Cobas per il Sindacato Classe che è in corso per contrastare i trasferimenti (per giunta illegali perché non consentiti dal contratto di lavoro) in altre cittadine o paesi della provincia di Palermo; anche in questo caso la lotta è contro l'Ufficio Scolastico Provinciale per il blocco del provvedimento "coatto" predisposto dal dirigente dello stesso, il Dott. Leone.
Nei giorni precedenti anche i lavoratori, come hanno fatto ieri gli studenti, hanno occupato il Provveditorato e attuato blocchi stradali davanti la Prefettura.
La pubblica istruzione, come si può vedere, è vittima dei tagli e delle manovre di cui il carnefice è il ministero della repubblica, e colpisce tutti, dallo studente al docente (quasi sempre precario).

Sosteniamo le lotte degli studenti dell'istituto R. Margherita contro la cessione delle 24 classi e quella degli assistenti tecnici contro i trasferimenti, se il governo ci addossa la crisi tramite tagli e accorpamenti ribellarsi è giusto!

venerdì 10 febbraio 2012


CONTRO L'ABOLIZIONE DEL VALORE LEGALE AL TITOLO DI STUDIO

Nel campo dell'istruzione il nuovo governo Monti si sta attrezzando per attuare un nuovo provvedimento a “completamento” della riforma Gelmini, quella dell'abolizione del valore legale delle lauree e il diverso accreditamento dei singoli atenei.

In sostanza, una volta varato il provvedimento, qualsiasi tipo di laurea sarà sufficiente per partecipare a un concorso pubblico, perché il voto finale non concorrerebbe alla formazione del punteggio, dando così più rilevanza alla prova d'esame. Per quanto concerne il diverso accreditamento degli atenei dal nord al sud del paese, il compito di rilasciare il cosiddetto "bollino" di qualità è affidato all'Agenzia di valutazione del sistema universitario e ricerca (Anvur), che metterà sotto esame l'efficienza e l'efficacia della ricerca e della didattica, per stimolare le università alla concorrenza. Verrà tenuto conto delle risorse fisiche dell'ateneo, risorse organizzative (docenti di ruolo ecc) e inoltre verrà periodicamente aggiornato l'accreditamento, ateneo per ateneo.

Le ragioni di questo provvedimento, secondo la Lega Nord, sono quelle di eliminare la "falsa concorrenza" agli atenei del nord da parte di quelli del sud, quest'ultimi trasformati in "laureifici"; Brunetta ha espresso invece che questo servirebbe per "ottimizzare la gestione delle risorse".
Secondo i sostenitori in ogni caso ciò porterebbe ad un processo meritocratico nella ricerca di impiegati, in quanto il candidato dovrà mostrare le sue "reali capacità", perché il famoso "110 e lode" non è utile se a concederlo è un'università "scarsa"!

Cosa vorrà significare il diverso apprezzamento dei singoli atenei, se non una disparità di trattamento e di possibilità per i laureati, che non troveranno più lavoro?
Questa è evidentemente una manovra che mira ad allontanare le masse dall'istruzione; dietro la pagliacciata della "meritocrazia" si cela tutt'altro, dato che con questa riforma sarà più facile introdurre in posti e in incarichi politici qualsiasi persona tramite raccomandazioni e spintarelle, amici e parenti che probabilmente non hanno neanche una laurea...
Come volevasi dimostrare, la meritocrazia è il termine con il quale vengono coperti demerito e affari loschi dei borghesi che ci governano.
Si attua così un processo mediante il quale gli atenei considerati di serie B non avranno più accesso ai finanziamenti ministeriali, il che si traduce in un ulteriore degrado.
E' una manovra che costringerebbe alla disoccupazione più di una generazione: i neolaureati delle università di "serie B", che saranno condannati a lavori sempre di "serie B", e i giovani che non avranno più la possibilità di andare a studiare fuori sede o comunque negli atenei "virtuosi" causa tasse universitarie improponibili; fenomeno assai studiato quello dell'"esodo" dei diplomati del Sud verso il Centro-Nord, di cui se ne contano circa uno ogni 5 diplomati meridionali. L'abbandono delle regioni del Mezzogiorno è causato da motivi di studio e/o per la ricerca di lavoro, essenziale per poter sopravvivere al carovita e all'aumento costante delle tasse universitarie. Con questa manovra, i giovani saranno costretti a rimanere a casa propria, togliendosi ovviamente l'idea di studiare nella propria città (a che pro studiare in un ateneo "scarso" secondo le classifiche istituzionali, svuotando le proprie tasche per un titolo inutile?)
Ancora più svantaggiati gli studenti del meridione, visto e considerato che le università del sud sarebbero tacciate di "regalare" lauree a studenti senza competenze.

Fa parte dell'attacco del governo Monti, che sta puntando direttamente al lavoratore, alla lavoratrice, agli studenti e alle masse in generale: l'attacco all'articolo 18, il quale a detta di Monti è pernicioso per lo sviluppo, la distruzione dell'università e del diritto all'istruzione, attacca i soggetti che, sfruttandoli, fanno gonfiare le tasche dei capitalisti e, considerando questo piano per l'università, sarà possibile definire sin da subito chi deve far parte della classe degli oppressi, dei disoccupati e dei precarizzati a vita, e chi della classe degli oppressori.
La Fondazione Agnelli dà la colpa alla mancata valutazione e controllo degli anni passati per giustificare l'inefficienza e la scarsa qualità didattica; secondo loro "tutti gli atenei continuano a offrire insegnamenti un po' su tutto"; propone delle idee per l'innalzamento del livello culturale del paese italiano, come una differenziazione più netta del sistema universitario tramite nuove "etichette" (formazione di base triennale, formazioni professionalizzanti, formazione magistrale dottorale) con conseguenti preferenze circa l'erogazione del fondo pubblico (il ministro Profumo parla di "occhi di riguardo" riservati alle "smart cities", città ecosostenibili ed intelligenti)...
In un momento in cui la disoccupazione è ai livelli record e continua ad aumentare tra i giovani, come aumentano i casi di cassa integrazione, questa è la risposta del governo. Di certo non è così che i cittadini possono rialzarsi.
L'unico modo per rinnalzare il livello dell'università italiana è quello di investire sull'istruzione; irrobustire e ampliare i corsi di studi con laboratori, seminari; non permettere più che i corsi siano a "rischio" perché le cattedre sono vuote; riorganizzare il sistema universitario in toto e, soprattutto, creare un'istruzione pubblica che sia davvero tale e accessibile a tutti: l'80% delle spese della scuola pubblica sono a carico delle famiglie, dice un'inchiesta condotta da La Repubblica. Ma non è lo scopo dei borghesi... lo scopo è quello di non dare voce in capitolo alle classi proletarie, spezzare le ali ai giovani, di reprimere estirpando alla radice ogni possibilità sviluppare una coscienza politica, portando avanti un modello moderno fascista in tutti gli ambiti.
Fa sorridere che lo stesso Monti riconosca che "non è una cosa frequente che i cittadini accettino dei sacrifici così considerevoli in tempi tanto brevi", la sua frase dice tutto! Il governo e le banche stanno oggettivamente mettendo alla prova il grado do sopportazione di lavoratori r masse popolari, spremendolo fin quando ce n'è.

E' necessario che gli studenti e i giovani scendano in piazza nuovamente per rilanciare una lotta che sia radicale, in tutte le città e in tutti gli atenei, battersi per un diritto sancito anche nella loro così sventolata costituzione, lottare contro chi ci vuole come pupazzi che assimilano passivamente ogni riforma forgiata per i loro bisogni.
Non servono più i cortei-sfilate, servono occupazioni, servono altri “14 Dicembre” e altri "15 Ottobre" nel quale i giovani hanno dimostrato la loro forza contro i servi in divisa; serve la vera ribellione contro chi vuole addossarci la propria crisi e vuole bloccare il nostro futuro.
Il moderno fascismo avanza con riforme e repressione, gli studenti in quelle occasioni hanno dato una risposta concreta: la vera violenza è la loro!

giovedì 9 febbraio 2012

Giornata del ricordo? Ricordiamo con orgoglio i partigiani italiani e jugoslavi che ci liberarono dal Nazifascismo!


Il 10 febbraio si celebra ufficialmente per il settimo anno consecutivo la “Giornata del
ricordo dell’esodo degli italiani dell’Istria e della Dalmazia e delle foibe”. Quest’anno la celebrazione bipartisan assume un carattere particolare sotto il governo Monti che dietro il paravento del “governo tecnico” rappresenta un governo sostenuto pienamente, politicamente parlando, da differenti fazioni della grande borghesia finanziaria e industriale rappresentata in parlamento dai principali partiti politici PD e PDL. In tempo di crisi i partiti gettano la maschera e dimostrano di essere sostanzialmente d’accordo nell’attacco ai diritti di lavoratori, giovani, donne, studenti e immigrati, attuato da questo governo che mentre predica sacrifici, per i soliti ovviamente, acquista i primi tre caccia F35 per 80 milioni di dollari…

Anche quest’anno dobbiamo sorbirci la retorica nazionalista e da revisionismo storico di questo ipotetico genocidio anti-italiano in cui i partigiani jugoslavi avrebbero gettato (c’è chi dice migliaia), nelle foibe (formazioni carsiche), gente inerme “sol perché italiani”. Una tale falsità, storicamente argomento propagandistico esclusivo dei neofascisti dal dopoguerra, adesso è fatto proprio dalle istituzioni a tutti i livelli: si organizzano iniziative nelle scuole, intellettuali della sinistra istituzionale come Pansa spendono da qualche anno fiumi di inchiostro sui “martiri delle foibe”, tutto questo ha creato un humus favorevole per i gruppuscoli neofascisti, da Forza Nuova a Casapound passando per i giovani del PDL per rilanciare tali falsità storiche e parlare di “crimini dei partigiani comunisti”. In realtà, basta consultare le fonti storiche per apprendere che già nel ’43 la popolazione locale slovena e dalmata (anche italiana) sostenne i partigiani e cacciò gli invasori fascisti e nazisti dando vita ad un “potere popolare” per circa 20 giorni che venne a sua volta rovesciato dai nazifascisti i quali si abbandonarono ad ogni tipo di eccidio e stragi, arrivando a bruciare persino interi villaggi. Inoltre già dal ’41 alcune delle zone balcaniche erano state annesse dall’Italia fascista iniziando la cosiddetta opera di “italianizzazione”: imposizione dell’italiano negli uffici pubblici, colonizzazione mediante agevolazioni economiche per gli italiani a discapito degli slavi. Le centinaia di cadaveri riesumati dalle foibe (non migliaia) indossavano quasi tutte uniformi militari dell’esercito nazista e fascista o erano degli slavi collaborazionisti con l’occupante che si erano macchiati per anni di crimini, non si è trattato di certo di genocidio contro gli italiani, infatti molti di essi finita la guerra hanno continuato a convivere pacificamente con gli slavi.

Questo tentativo di cambiare la storia per riabilitare il fascismo, dall’alto dei palazzi, rientra in un preciso piano del moderno fascismo che mentre fa pagare la crisi ai lavoratori e al popolo in generale, cerca contemporaneamente di distrarlo con falsi nemici quali gli immigrati o il risveglio di istinti nazionalistici verso le “terre irridenti di Istria, Fiume e Dalmazia”.
Non ci stupiamo del fatto che in questo clima, mentre continuano le aggressioni razziste nelle nostre città (la più grave circa un mese fa a Firenze dove un militante neofascista di Casapound ha fatto fuoco in mezzo a un mercato uccidendo due senegalesi), il PD a Ponticelli (NA) come fosse la Lega Nord cavalca populisticamente l’ondata razzista organizzando iniziative per la chiusura del campi rom.
In altre città queste azioni sono promosse da gruppi neofascisti e dalla Lega Nord a Napoli sopperisce il Partito (nazi)Democratico!
Chi a “sinistra”, dal PD a Beppe Grillo, solidarizza con i fascisti e il loro “diritto a manifestare” (una contraddizione in termini per la nostra costituzione) allo stesso tempo non perde mai occasione per condannare gli antifascisti quando si oppongono concretamente alle sfilate di rigurgito nazionalista e neofascista; si perde il conto dei procedimenti giudiziari a carico di compagni e compagne per antifascismo da Trento a Palermo.
A Firenze il sindaco Renzi (PD) dopo le sue ordinanze anti-immigrato dei mesi scorsi, all’indomani dell’uccisione dei due senegalesi ha sfilato ipocritamente nel corteo dando “solidarietà ai familiari delle vittime” mentre lo scorso 4 febbraio ha permesso che il corteo promosso da Casapound, organizzazione di cui l’assassino era militante attivo, sfilasse tranquillamente. Tanto per cambiare trattamento ben diverso è stato riservato ad un corteo antifascista lo stesso giorno, che dopo i primi tentativi della questura di vietarlo e trasformarlo in un semplice sit-in, non riuscendoci è stato fatto sfilare totalmente circondato da centinaia di sbirri in assetto antisommossa.

Partiti come PD, Sel, Movimento 5 Stelle e IDv che in varie occasioni hanno civettato con Casapound sono da considerare dall’altra parte della barricata nella lotta antifascista e antirazzista; altri ancora, come Rifondazione Comunista, che a parole condannano il governo nazionale e le sue politiche razziste e xenofobe ma poi non esitano a livello locale a fare alleanze elettorali con queste forze xenofobe e fasciste nei fatti, sono di un’ambiguità inaccettabile per qualsiasi coerente antifascista.

Il movimento antifascista deve rispondere colpo su colpo a tutto questo, in piena autonomia da partiti e sindacati filo padronali, delimitandosi senza ambiguità da questa palude formata dall’accozzaglia di partiti istituzionali ed elettoralismi, piuttosto la battaglia antifascista deve rientrare a pieno titolo nella lotta contro il governo Monti e chi lo sostiene, sia direttamente che indirettamente, smascherandone il loro carattere anti-popolare come parte integrante del moderno fascismo in costruzione, che utilizza a piene mani il revisionismo storico e la bassa manovalanza fascista.

Contro il revisionismo storico e il moderno fascismo, antifascismo militante, culturale e sociale!
Chiudere tutti i covi fascisti!
Pd e Pdl, a Piazzale Loreto c’è ancora posto!

domenica 5 febbraio 2012

CONTRO IL GOVERNO MONTI, FORCONI O RIVOLTA POPOLARE?

Nelle settimane scorse la Sicilia è stato teatro della cosiddetta rivolta dei forconi e del movimento Forza d’urto. Già dal primo giorno di mobilitazione questi soggetti sono stati capaci di bloccare le principali arterie siciliane: dai caselli autostradali, ai porti delle principali città allo Stretto di Messina.
Il movimento dei forconi ha innescato un ricco e variegato dibattito a differenti livelli, dagli ambienti istituzionali sino all’interno del movimento rivoluzionario in cui alcuni soggetti politici hanno bollato tale movimento come guidato da mafiosi e fascisti, altri invece lo hanno esaltato definendolo movimento popolare.
Ma chi sono i forconi? Quali sono le loro rivendicazioni? E infine, i rivoluzionari come si devono rapportare con essi?

I forconi.

Ai blocchi hanno partecipato attivamente diverse categorie, quella che spicca come determinante nell’attuazione di questa forma di protesta è sicuramente quella degli autotrasportatori a cui si sono aggiunti agricoltori, pescatori e allevatori. In alcune parti della Sicilia i blocchi hanno suscitato l’interesse di alcuni studenti medi che spontaneamente si sono uniti alla protesta. Approfondendo la composizione sociale di questo movimento e le sue rivendicazioni troviamo dei punti di contatto e una certa omogeneità di classe piuttosto che un’eterogeneità solo apparente.
Infatti gli autotrasportatori, gli agricoltori, gli allevatori e i pescatori in questione, sono nella quasi totalità piccoli imprenditori a capo di piccole aziende con pochi dipendenti, a volte nessuno. La confusione sulla natura di classe della protesta può nascere principalmente per gli agricoltori; quando si parla di queste categorie in merito alla protesta dei forconi molti pensano ancora al bracciante agricolo sfruttato dal latifondista che come accadeva qualche decennio fa insorgeva contro il latifondo con l’obiettivo della riforma agraria e della “terra a chi la lavora”, in realtà gli agricoltori in piazza erano principalmente i titolari delle aziende che in un contesto di piccole imprese spesso familiari, i dipendenti e/o familiari sono praticamente costretti a seguire ogni passo del datore di lavoro. La Sicilia non è più il “granaio di Roma” come alcuni ancora potrebbero credere, oggi il settore agricolo e della pesca rappresenta solo il 3,50% dell’attività produttiva siciliana a fronte di un aumento del terzo settore che sfiora l’80%, il resto è industria.
Questo dato quantitativo riflette quello qualitativo: la presenza in questo settore di piccole aziende spesso familiari con a capo padroncini che per loro natura di classe hanno solo interesse che il proprio profitto non diminuisca. Stesso discorso per autotrasportatori e pescatori.
Più che altro l’interclassismo in questa vicenda, che potenzialmente non c’è, è stato introdotto artificialmente dall’esterno da soggetti del movimento che partecipando attivamente ad esso ne esaltano alcuni aspetti attribuendogli anche meriti inesistenti.

Cosa vogliono.

Le richieste principali si possono ricondurre a due: la prima è inerente al costo del carburante troppo elevato su cui gravano le accise introdotte dal governo. Questa richiesta interessa principalmente agli autotrasportatori e i pescatori in quanto diminuisce in maniera netta le loro entrate di guadagno. Per risolvere questo primo punto la richiesta è quella di “riaprire il discorso con lo Stato circa le accise del petrolio, metano e altro estratti in Sicilia che sarebbero dovute rimanere ai siciliani ed invece hanno preso sin dall’inizio la via di Roma”. La seconda richiesta invece è legata alla produzione agricola i cui prodotti subiscono continui deprezzamenti dovuti alla concorrenza estera. Una richiesta generale per entrambi i problemi è la creazione di una zona franca o un’area di libero scambio. A livello mediatico è risaltato anche l’aspetto folkloristico delle rivendicazioni, nelle interviste i manifestanti facevano spesso riferimento al “popolo siciliano” e ad una rivolta antisistemica contro lo stato italiano che da decenni in maniera colonialista sfrutta la Sicilia, prestando il fianco alla riesumazione di gruppuscoli indipendentisti da decenni dormienti sul territorio eccetto in periodi di campagna elettorale quando rispolverano la bandiera giallo-rossa con la Trinacria.

C’è un filo diretto tra composizione di classe dei forconi, il 99% dei manifestanti è riconducibile alla piccola borghesia imprenditoriale, e le loro rivendicazioni.
“Giustamente” dal loro punto di vista, difendono i propri interessi di classe minati dall’azione del governo che invece rappresenta principalmente la grande borghesia legata all’alta finanza. Questa contraddizione interna a frazioni diverse della borghesia rappresentanti interessi economici e poli di potere differenti è stata accentuata dalle politiche del governo. Da ciò, a nostro parere, si spiegano le dichiarazioni del presidente della Confindustria siciliana Ivan Lo Bello che criminalizza il movimento parlando di infiltrazioni mafiose, per demonizzarlo e bollarlo come illegittimo. I blocchi come hanno detto i media locali e nazionali “hanno arrecato un grave danno all’economia siciliana” ciò significa che le merci che non sono arrivate ai banchi dei mercati e supermercati hanno provocato un danno economico ad altri piccoli e medi imprenditori creando una contraddizione all’interno della stessa classe ( è per questo motivo che adesso i forconi sono tentennanti nel proseguire la protesta con le stesse modalità) ma anche della media e grande borghesia che sono rappresentate per l’appunto da Confcommercio e Confindustria.

Circa le infiltrazioni fasciste invece non c’è da soffermarvisi a lungo, ci sono stati dei tentativi principalmente nei blocchi di Catania, Messina e Palermo, ma questo non ci stupisce affatto dato che i fascisti come punto di riferimento “naturale” di classe abbiano la piccola borghesia “ribelle” che quando si accende per l’appunto utilizza sistemi di lotta di questo tipo. Ciò non significa che il movimento dei forconi sia capeggiato da mafiosi e fascisti come molti hanno sostenuto, ma sicuramente le richieste di tipo corporativo quali quelle ricordate sopra sono terreno fertile per il populismo fascista che non a caso ha esaltato la “natura agraria” della protesta.

I forconi respinte le accuse di connivenza con fascisti e mafiosi e allontanato formalmente il leader di Forza Nuova Morsello dal movimento, (uscito dalla porta e rientrato dalla finestra nel corteo del 25 Gennaio) hanno ribadito la loro apoliticità e apartiticità in nome dell’interesse generale di tutto il popolo siciliano e hanno avanzato la richiesta che sia applicato l’esistente Statuto Siciliano che garantisce alla Sicilia in quanto regione autonoma certi sgravi fiscali per i produttori.

Rivolta popolare o piccola borghesia incazzata?

Ogni classe quando si organizza in maniera più o meno strutturata e si muove conseguentemente, persegue i suoi obiettivi di classe. Anche in questo caso è così. Il punto principale è capire se questa mobilitazione può avere punti di contatto con gli interessi del proletariato al fine di organizzare un fronte unito che risponda agli attacchi ripetuti della borghesia rappresentata in questo momento dal governo Monti.

Il governo Monti dopo la prima fase di provvedimenti di austerity che oggettivamente hanno colpito in maniera indiscriminata tutti i settori popolari, dal proletariato alla media borghesia, nella sua seconda fase iniziando con le cosiddette liberalizzazioni è andata a fondo contro gli interessi economici corporativi di tassisti e “forconi”, della piccola borghesia imprenditoriale in generale, a vantaggio del grande capitale, ma questo è solo l’inizio. Il dibattito attuale sulla cancellazione o “modifica” dell’articolo 18 dimostra che a fare principalmente le spese delle politiche di questo governo saranno in primis i lavoratori e gli operai, l’attacco all’articolo 18 non è un passaggio tecnico, racchiude invece l’essenza stessa di questo governo che sta intraprendendo la sua guerra di classe che passa nell’affermazione del principio che per via “tecnica” si possono stravolgere anche le regole del gioco stabilite dalla borghesia stessa.

Ciò che già ha anticipato Marchionne facendo carta straccia degli accordi sindacali, il Governo Monti lo generalizza a politica nazionale per la riforma del mercato del lavoro. Se è vero che questo governo è antipopolare, è ancor più vero che la sua natura è principalmente anti-proletaria, questo si vede anche nei trattamenti di piazza riservata ai manifestanti. Se verso i suoi “figli ribelli” tollera qualche giorno di blocchi limitandosi a minacciare precettazioni nel caso in cui si superasse il limite, ben altro trattamento è riservato agli operai, ultimo caso quello degli operai St e Cogepi che Martedì 31 Gennaio dopo aver bloccato la strada adiacente la prefettura di Caserta in men che non si dica sono stati caricati selvaggiamente dalla polizia, stessa scena che si ripete da decenni quando gli operai, ma anche gli studenti, utilizzano alla pari dei forconi la forma di lotta del blocco di strade, autostrade e stazioni ferroviarie. La differenza sostanziale nei due casi è che nel primo la rivendicazione è parziale, di restaurazione di un privilegio corporativo tutelato dalle associazioni di categoria, nel secondo invece si mette in discussione il nocciolo dell’essenza del capitale che trae profitto principalmente dallo sfruttamento del lavoratore salariato. La borghesia oggettivamente “percepisce” il pericolo rappresentato da differenti rivendicazioni in maniera oggettiva e agisce di conseguenza.

Da che parte stare.

I rivoluzionari devono scegliere da che parte stare, sicuramente sul terreno dello scontro di classe con padroni e governo, cogliendo la sfida e rispondendo colpo su colpo, ma nel farlo devono saper riconoscere, strada facendo e tra le contraddizioni, amici e alleati.
In questa fase dobbiamo lavorare e contribuire a rafforzare le lotte operaie e dei lavoratori in generale per contrastare adeguatamente le azioni messe in campo dal governo. Il primo passo è stato fatto durante lo sciopero generale del 27 Gennaio a Roma dai sindacati di base, l’importanza di questa mobilitazione è principalmente il fatto che è stato il primo sciopero generale contro questo governo che ha visto protagonisti decine di migliaia di lavoratori organizzati dal basso con i sindacati di base. Da qui bisogna continuare, moltiplicando queste forze e potenziandone l’organizzazione su tutti i posti di lavoro, lavorando per un fronte unito contro il governo che abbia al suo centro il proletariato, i giovani ribelli e le donne che riesca a guidare ampi settori del popolo, non viceversa.
Tornando ai forconi siciliani, e sulla questione di un’ipotetica convergenza di interessi di classe tra i loro obiettivi e quelli del proletariato, l’unico terreno comune a nostro avviso è quello riguardante il caro-vita, ma se da un lato è giusto appoggiare le rivendicazioni contro l’aumento di tasse e accise sui carburanti (in quanto colpiscono anche i lavoratori) ciò deve essere fatto in maniera critica e non appiattendosi sulle posizioni di classe della piccola borghesia, abbracciandone in toto le rivendicazioni.

I sostenitori di questo movimento, nel campo rivoluzionario a nostro avviso hanno semplicemente confuso il mezzo con il fine.
È sufficiente appoggiare una lotta prendendo come base di giudizio la forma di lotta messa in pratica (in questo caso i blocchi selvaggi, che adesso tanto selvaggi non sono neanche più)?

Secondo lo stesso principio, è sufficiente definire tale lotta popolare e addirittura con venature “antiglobalizzazione” (quasi anti-imperialista se si entra nella dinamica imperialismo italiano vs popolo siciliano)?

Se la protesta è finalizzata a preservare interessi corporativi e addirittura scendere a compromessi con il potere centrale con la richiesta di zone economiche speciali di cui sicuramente avrebbe beneficio solo il mondo imprenditoriale e non i lavoratori, sicuramente non può esservi punto di contatto con le lotte proletarie che invece entrano in contraddizione con essa se parliamo di tutela del e sul posto di lavoro; i piccoli padroncini (chi detiene i mezzi del proprio lavoro non salariato) protagonisti dei blocchi sarebbero d’accordo a intraprendere una lotta contro il governo per difendere l’art 18 ed estenderlo anche alle loro piccole aziende al di sotto dei 15 dipendenti? Crediamo proprio di no. Si potrebbe dire che molte di queste piccole aziende sono a base familiare ma ciò non intacca la natura del ragionamento, se un lavoratore è impiegato presso un parente stretto perché non dovrebbe avere gli stessi diritti di altri lavoratori?

È sbagliato e fuorviante fare parallelismi forzati tra contesti diversi come rivolta dei forconi e le rivolte dei paesi arabi com’ è stato fatto sia dai manifestanti stessi che da alcuni compagni.
Innanzitutto cambia la composizione sociale, in un paese imperialista come il nostro rispetto a un paese oppresso dall’imperialismo come qualsiasi paese teatro delle rivolte, la piccola borghesia è relativamente maggiore nella composizione di classe rispetto ai paesi arabi. Nelle proteste a piazza Tahrir, a Tunisi, in Marocco e così via sicuramente in piazza stavano anche piccoli imprenditori, commercianti e autotrasportatori, ma non ne erano l’anima della protesta, non erano le loro parole d’ordine a guidarla ma al contrario essi si sono accodati a quelle più generali di pane e lavoro a cui si è aggiunta poco dopo quella della necessità di un cambiamento politico radicale. In Egitto la spina dorsale della protesta che ne spiega anche la sua maggiore tenuta nel tempo rispetto ad altri paesi quali la Tunisia ad esempio è rappresentata dalla classe operaia relativamente sviluppata e organizzata in sindacati che fino a ieri erano illegali, a cui si somma la forza dei giovani proletari e ribelli ultras.

Altra diversità non indifferente è l’appoggio popolare, se è vero che i soggetti sociali che animano i forconi siano una parte del popolo ciò non significa che ne abbiano l’appoggio, loro stessi per mezzo in una recente dichiarazione del leader Ferro, ci dicono che la nuova ondata di blocchi, originariamente prevista per Lunedi 6 Febbraio, da un lato avrebbe interessato solo le raffinerie e non il trasporto di merci “per non colpire il popolo siciliano”, dall’altro non è sicuro che questi blocchi ridimensionati vengano attuati in quanto non si vuole incorrere in misure di precettazione da parte delle questure. O il popolo è parte integrante di un movimento o non lo è. In questo caso sembra che dal movimento stesso venga trattato come oggetto passivo ed esterno ad esso “con cui fare i conti” per evitare di inimicarselo piuttosto che soggetto interno e attivo.

Se è vero che in certe provincie del sud-est la partecipazione ha coinvolto anche interi comuni ciò non ci autorizza ad assurgere un caso particolare a generale e delineante gli aspetti del movimento nel suo complesso, così come se dalle parti di Castelvetrano alcuni giovani inneggiavano al boss latitante Messina Denaro non significa che in piazza erano tutti mafiosi ma ci deve fare ragionare su quanto sia ampio il lavoro da fare tra le masse piuttosto che esaltare tutto ciò che si muove a priori.

Strumentale e controproducente invece è far leva sugli slogan populistici anti-partito e anti-sindacato quando è evidente che essi sono mossi da una sorta di “ricatto” verso i referenti politici di questi settori che notoriamente fanno capo ad ambienti di destra, principalmente lo MPA di Lombardo, finalizzato ad un ritorno economico garantito dal clientelismo elettorale.
La natura populista di tale posizione “apolitica” ci è confermata sempre da Ferro che ha detto ufficialmente di non escludere l’ eventualità che il movimento si costituisca in partito politico, in tal modo qualora i referenti politici nei palazzi regionali non potessero più tutelare queste categorie, si entrerebbe in competizione diretta con essi proprio sullo stesso terreno elettorale e istituzionale, altro che movimento antisistema!

Per concludere, tornando all’obiettivo principale della lotta contro padroni e governo Monti, bisogna evitare di intraprendere scorciatoie di sorta che poi si rivelano solo spreco di tempo e di energie, se si assume un approccio acritico che vede in ogni blocco stradale la rivolta, si rischia di scambiare lucciole per lanterne. Con questo approccio si rincorrono, in maniera velleitaria, soggetti sociali che sanno già cosa vogliono e come lo vogliono ottenere dal loro punto di vista di classe, con l’illusione di prenderne la testa o indirizzarne meglio pratiche e azioni.
Questo approccio che segue il principio che tutto ciò che si muove e arreca disagio è giusto a priori, o addirittura è rivolta popolare, è figlio del movimentismo che dopo trent’anni di messa in pratica dovrebbe essere archiviato in favore di un lavoro politico indirizzato all’organizzazione politica e alla strutturazione delle lotte seguendo una strategia ben precisa per raggiungere l’obiettivo e arricchita da una flessibilità tattica contingente che è cosa ben diversa dal “movimento per il movimento”.
Questo non è un lavoro semplice, chi nella sua attività politica lavora quotidianamente sui posti di lavoro lo sa bene, lo sviluppo attuale del capitale ha creato una serie di contraddizioni da saper maneggiare che hanno a che fare con la parcellizzazione del lavoro, così all’interno di una stessa fabbrica o posto di lavoro si trovano lavoratori facenti capo all’azienda e quelli che invece sono impiegati da ditte esterne con diversi contratti oppure stabilimenti che in un’area geografica producono a pieno regime mentre altri in differenti luoghi hanno tutti i lavoratori in cassa integrazione, stesso discorso tra stabilimento italiano e straniero e ancora la “novità” del caporalato diretto dai sindacati confederali, in primis la cgil nelle cooperative rosse del nord, e così via.

Come si diceva non è semplice ma bisogna “sporcarsi” le mani, oggi l’unica “uscita dalla crisi” possibile è rappresentata da un’azione cosciente che lavori perché questa crisi si aggravi per i padroni, si vada verso il default, si approfondisca la percezione che le masse hanno circa l’illegittimità anche morale del potere e così via.
Il primo passo deve essere necessariamente la rivolta popolare, facendo tesoro dalle più recenti; per evitare che essa finisca per “cambiare tutto e non cambiare niente” bisogna lavorare fin dall’inizio perché la sua direzione sia proletaria, questo passa necessariamente dall’organizzazione operaia e dei lavoratori che sempre più perdono i loro riferimenti politici e sindacali, questo necessita di un lavoro politico rivoluzionario costante e variegato nelle forme che sia capace di divincolarsi tra le molteplici contraddizioni assumendo una flessibilità tattica ma coerente con una fermezza strategica generale.