sabato 20 marzo 2010

INTERVISTA AD ARNALDO OTEGI, LEADER DELLA SINISTRA INDIPENDENTISCA BASCA

RICEVIAMO E RIGIRIAMO QUESTA INTERVISTA DAI COMPAGNI DI EHL (ALLA FINE DEL POST TROVATE I CONTATTI).

E' necessario che la solidarietà al popolo basco continui anche dopo la campagna internazionale terminata il mese scorso. Guarda l'appello per la costruzione di una mobilitazione nazionale in solidarietà ai giovani indipendentisti baschi:

http://redblock-it.blogspot.com/2010/02/appello-per-continuare-la-campagna-di.html

ARNALDO OTEGI:

ALLEANZA STRATEGICA INDIPENDENTISTA E PROGRESSISTA

Intervista del Portale Giuridico Basco "Res Publica" www.rpublica.org

al popolare dirigente della sinistra indipendentista Arnaldo Otegi


10 marzo 2010

RES PÚBLICA ha ottenuto una intervista in esclusiva con Arnaldo Otegi. In carcere dal 13 ottobre del 2009 accusato assieme ad altri otto esponenti della sinistra indipendentista di contribuire alla elaborazione del documento di discussione nella sinistra indipendentista che è stato approvato alcune settimane fa. In esso si sancisce le vie esclusivamente politiche e democratiche per la costruzione, senza alcun tipo di violenza ed ingerenze, di un processo democratico. Un altro punto qualificante del documento è la creazione di un polo progressista e di sinistra indipendentista.

D: Il Tribunale di Strasburgo ha sancito l’illegalizzazione di Batasuna approvando, di fatto la Ley de los Partidos. A cosa attribuisce questa decisione? E’ la giustizia della Unione Europea cosi politicizzata come lo nello Stato spagnolo?

R: In primo luogo dobbiamo segnalare che se anche è vero che ci ha deluso profondamente questa decisione, è una decisione che ci aspettavamo. Ci ha deluso, in primo luogo, perché giuridicamente è una sentenza povera, poco argomentata e che ha sorpreso molti esperti in diritto per la sua scarsa costruzione giuridica, un fatto non abituale nella Corte di Strasburgo. Questo dato e che non fosse stata accettata per essere discussa nella Grande Camera (composta da 17 giudici ndt), nonostante fosse stata la stessa sezione del tribunale che decise di accogliere la denuncia a proporre il trasferimento della causa alla Grande Camera vista la sua importanza (fatto questo a cui si oppose il regno di Spagna), ci porta a dire che ci sono state grandi pressioni da parte dello Stato spagnolo che hanno potuto influire in questa decisione. Noi sappiamo che per lo Stato spagnolo il conflitto politico basco è la principale questione di stato incluso a livello internazionale. Inoltre lo Stato spagnolo non è uno Stato che si caratterizzi per il suo rispetto verso istituzioni internazionali ed i principi d’indipendenza dei poteri giudiziari etc. Il profilo delle persone che abitualmente vengono nominate come giudici della Corte di Strasburgo lo testimonia; l’attuale giudice prima di essere nominato aveva collaborato con il PSOE o la Fondazione per la Libertà. Ed il suo predecessore era stato in precedenza rappresentante dello Stato nella Corte. Certamente non va a nominare giudici di riconosciuto prestigio ed imparzialità per esercitare una carica come è il caso di altri stati con un’ ampio trascorso democratico. Inoltre il fatto che non si senta vincolato dalle decisioni della Corte, come testimoniano le numerose sentenze di condanna, conferma questo scarso rispetto. Però non è una novità. La stessa situazione si verifica con le Nazioni Unite in relazione alle risoluzioni emesse dai suoi organismi come è stato per il caso di Karmelo Landa, o le relazioni dei diversi relatori o Comitati dei Diritti Umani. D’altro canto dobbiamo riconoscere che non era il miglior momento a livello internazionale. Basta guardare la deriva securitaria che vivono molti paesi e che sta influendo in tutti si sensi nelle diverse istituzioni internazionali preposte a difendere i diritti umani. La sentenza è una brutta notizia in generale, io credo, per tutti quelli che difendono i diritti umani e libertà fondamentali ed avrà conseguenze negative come già stiamo vedendo nei reiterati riferimenti alla sentenza che, per esempio, fanno i tribunali turchi per giustificare l’illegalizzazione del DTP.

D: Illegalizzata. Senza potersi riunire ne convocare manifestazioni. Impedita a presentarsi alle elezioni. La situazione della sinistra indipendentista è realmente difficile in questa congiuntura storica. Quanta parte di responsabilità ha in questa situazione, la stessa strategia della sinistra indipendentista?

R: Molta. Moltissima responsabilità. Basta risalire negli anni per rendersi conto che i processi di illegalizzazione contro la sinistra indipendentista e la sua criminalizzazione iniziano già con l’impegno assunto da Herri Batasuna di diffondere, perché considerata di grande importanza, la Alternativa Democratica, che indicava, in definitiva, come corrispondesse alla cittadinanza basca, attraverso le forze politiche che la rappresentano, arrivare ad accordi sulle base del conflitto, accordi che dovevano essere rispettati da tutti. E sono le iniziative politiche per promuovere il processo di dialogo e negoziazione su basi democratiche, come fu l’Accordo di Lizarra Garazi, quelle che portarono lo Stato a procedere nella repressione ed illegalizzazione della sinistra indipendentista. Perché lo Stato sa che la sinistra indipendentista è il motore del cambiamento politico del paese. Quante più proposte di soluzione del conflitto ha posto suk tavolo la sinistra indipendentista, tanta più repressione ed indurimento dello Stato. Così fu con gli arresti nell’anteriore processo di pace e cosi è stato pochi mesi fa. Lo ricordava un compagno ed amico sudafricano “quanto più razionali sono le vostre proposte, tanto più irrazionale sarà la risposta dello Stato.” Però noi continueremo con l’impegno che abbiamo assunto con il nostro paese, quello di dare soluzioni al conflitto che stiamo vivendo, con le quali in futuro potremo confrontare le diverse opzioni del paese in modo democratico e paritario; che noi indipendentisti possiamo non solo difendere, ma anche materializzare in nostri programmi se questa è la volontà maggioritaria del paese e che gli unionisti e costituzionalisti che vogliono rimanere uniti allo stato spagnolo possano farlo se questa è la volontà del paese.

D: La manifestazione di Donostia dimostrò che sono molto ampi i settori della società basca che rifiutano queste legge (dei partiti ndt) e rifiutano l’emarginazione della sinistra indipendentista. Quali sono, secondo lei, i passi che si dovrebbero compiere da subito?

R: La società basca sa che non si può emarginare ampi settori della sociali e constata la natura politica del conflitto e la necessita di risolverla attraverso il dialogo e la negoziazione. Per questo noi stiamo dicendo che le condizioni per il cambio politico ci sono nel paese. Adesso bisogna materializzare questo cambio mediante un processo democratico: un processo che, sviluppato in assenza totale di violenza ed ingerenze, renda possibile creare un nuovo scenario nel quale tutti i progetti, come ho già detto, siano non solo difendibili ma anche materializzabili. Un ambito politico nel quale siamo noi baschi che decidiamo liberamente le relazioni interne nell’insieme dei territori del paese, che dovrà basarsi sulla accettazione dei cittadini di questi territori, cosi come la relazione che desideriamo mantenere come popolo con altri popoli. E’ questo processo dobbiamo mettere in moto, il processo democratico. Ma la sua attivazione non può dipendere dallo Stato con prerogativa di veto. Senza lo Stato sarà più difficile, però attivarlo dipende solo dalla capacità che abbiamo di accumulare forze e di creare una aspettativa popolare. Di sapere percepire, e credo che lo stiamo facendo, ciò che la maggioranza popolare e democratica di questo paese chiede alla sinistra indipendentista, assieme ad altre forze politiche e sociali, di portare il nostro paese verso un nuovo scenario.

D: Quali furono le cause di fondo che fecero fallire le ultime conversazioni di pace? Quali responsabilità devono essere attribuite al PSOE e quali ad ETA? Il processo di Anoeta, falli per mescolarsi il tavolo politico con il tavolo tecnico?

R: Come in quasi tutti i processi i motivi non sono unici e non riguardano esclusivamente una delle parti. Tutti abbiamo commesso degli errori. Credo, comunque, che lo Stato iniziò male, molto male, quel processo non rispettando quanto accordato con ETA, creando situazioni dove, invece di favorire la fiducia fece proprio il contrario, non avendo previsto ne sviluppato una politica mirata a spiegare al suo paese il processo; non lavorando affinché il processo venisse compreso ma attuando sulla base di inchieste quotidiane e delle pressioni. Intendo dire, che lo stato non fece il suo dovere, e questo, come ho detto, invece di creare fiducia la fece perder. Non fummo, inoltre, capaci di costruire un dialogo tra i partiti al dl là delle riunioni segrete di Loiola ed il lavoro preventivo di preparazione. Si è ripetuto quanto avviene in altre situazioni come queste: l’impazienza si impossessa delle parti, c’è la necessita di vedere passi in avanti e, chiaro, se ciò che si constata è il non rispetto degli accordi, questo mina il processo ed alla fine collassa.
Credo che è necessario stabilire basi solide affinché un processo possa avanzare, deve esistere un ambiente politico-giuridico propizio per questo, condizioni minime, e se questo non viene dato e si dipende dalle decisioni che può prendere o non prendere un giudice, le cose si complicano. Si deve avere, allo stesso tempo, molta comunicazione con la base e la società da parte di tutti gli attori. Deve esserci sincerità, onestà ed un lavoro per il quale, mutuamente, costruiamo il processo e la soluzione. Se il processo si pone nei termini: “io vinco, tu perdi”, viene distrutto, bisogna creare scenari dove tutti vinciamo. E questo è necessario spiegarlo alla società. Si necessita visione del paese e dello Stato per risolvere questo tipo di problema, e se si sta a guardare quali riscontri elettorali potrebbe avere, nelle inchieste, si cominciano a fare cose strane ed incomprensibili. Ed inoltre bisogna avere pazienza.: molta pazienza. Gli intoppi che si verificano in questo tipo di processi è necessario risolverli con pazienza e molto lavoro, senza gettare la spugna o dire che non c’è nulla da fare. Come dicono gli irlandesi, bisogna continuare a pedalare sulla bicicletta perché nel momento che smetti di pedalare, cadi. In definitiva, tutti abbiamo molto da imparare, però se c’è volontà tutto è possibile.

D: Ci sono voci secondo le quali Lei è stato sul punto di abbandonare l’attività politica. E’vero? Ha pensato in qualche momento a questa possibilità?

R: Ho detto ripetutamente che mentre vivrò ed avrò le forze continuerò lavorando per un processo strategico della sinistra indipendentista: un paese libero di uomini e donne libere. Vale a dire una repubblica basca indipendente basata sulla giustizia sociale. Ed anche se siamo sempre più vicini a questo obiettivo, c’è ancora molto da fare e per quanto sto vedendo il ritirarmi è qualcosa di molto lontano.

D: Si osserva un certo cambiamento nel linguaggio della sinistra indipendentista, per esempio mentre prima si definiva se stessa come rappresentazione del popolo basco adesso si parla di “una parte di una amplia cittadinanza”. Questi cambi sono espressione di una strategia condivisa da tutta la sinistra indipendentista?

R: Considero che la critica che si fa alla sinistra indipendentista è una critica che se si estende all’insieme delle forze politiche del paese sia reale. Cioè, disgraziatamente l’insieme delle forze politiche parliamo sempre con troppa facilità di essere rappresentanti del popolo o suoi portavoce. Essendo vero questo, è anche vero che la sinistra indipendentista da diversi anni sta realizzando posposte di base per l’insieme del paese, proposte riferite al processo e agli ambiti democratici, proposte includenti e non escludenti, proposte per le quali si stabilisca nel paese un ambito giuridico politico ugualitario per tutti. Da questo punto di vista, lungi da atteggiamenti messianici o dirigisti, la sinistra indipendentista continua ad offrire proposte per la costruzione del paese, di integrazione. Proposte e strategie ovviamente condivise dall’insieme della sinistra indipendentista.

D: Ci dica chiaramente quali passi dovrebbe compiere , secondo lei, la sinistra indipendentista ne prossimo futuro.

R: Il passo da compiere sono indicati nel documento di dibattito della sinistra indipendentista che dopo essere stato discusso, di quartier in quartiere, di città in città, ha ottenuto l’appoggio della immensa maggioranza della nostra base sociale. E’ necessario articolare e mettere in moto un processo democratico da parte dell’ insieme delle forze democratiche del paese, per il quale i baschi e le basche, attraverso il dialogo e la negoziazione possiamo passare dall’attuale logorato scenario ad un nuovo ambito di carattere democratico nel quale tutte le opzioni, inclusa quella indipendentista, possano essere non solo difendibili ma anche materializzarsi. Un nuovo ambito nel quale sia nelle mani della cittadinanza basca decidere il modo di relazione che desidera stabilire al suo interno cosi come il modo di relazione con gli stati. Un processo democratico che servirà per porre fine al conflitto attuale e che, ovviamente, dovrà dare risposte allo stesso tempo alle gravi conseguenze che il conflitto ha generato. Consideriamo che per questo, la metodologia stabilita nel ‘Anoeta è valida , così come sono validi, e bisognerà sviluppare, i passi in avanti fatti a Loiola. Però affinché questo sia possibile è necessario anche che gli indipendentisti e progressisti del paese stabiliscano una alleanza strategica che lavori per il processo democratico da un punto di vista chiaramente indipendentista. Non perché questo sia l’obiettivo (l’indipendenza) del processo democratico, ma perché fin dall’inizio deve essere chiaro che l’insieme delle visioni ed opzioni presenti nel paese devono trovare riflesso nell’Accordo Democratico, per il quale tutti i progetti politici abbiano le stesse possibilità di materializzarsi. Inoltre è necessario articolare una amplio e trasversale movimento che lotti e si opponga all’attuale riduzione delle libertà fondamentali che vada, passo dopo passo, restaurando lo scenario democratico. Un movimento che lotti per di diritti di riunione, associazione e partecipazione politica, la fine della tortura, il rimpatrio dei prigionieri politici e la loro liberazione etc., un movimento per il ripristino delle liberta pubbliche fondamentali che hanno subito una regressione importantissima in questo paese e che è necessario restituire affinché il processo democratico arrivi in porto.

D: E’ la sinistra indipendentista disposta a impegnarsi con un processo di pace con la premessa del previo abbandono da parte di ETA della lotta armata?

R: La sinistra indipendentista è assolutamente impegnata con un processo di pace che noi definiamo come democratico e lo facciamo senza premesse o precondizioni di alcun tipo, che deve svilupparsi per vie esclusivamente politiche e democratiche. La sinistra indipendentista ha preso una decisione chiara a riguardo che è accreditata tanto nella Dichiarazione di Altsasu come nella approvazione del documento dibattuto. L’insieme degli agenti politici del paese, inclusa ETA, dovranno vedere che tipo di contributo dare affinché questo processo democratico possa svilupparsi e raggiungere i suoi obiettivi. Però, insisto, che la nostra volontà è ferma e decisa nella scommessa per il processo democratico nelle condizioni descritte di assenza di ogni tipo di violenze ed ingerenze.

D: Ed è disposta a pagare il suo “prezzo per la pace” anche come opposizione o scissione da quei settori che sono ancora convinti che qualsiasi processo di pace praticabile necessita la direzione di ETA e della doppia via politico-militare per assicurare il suo buon fine?

R: Già lo abbiamo detto nel precedente processo che concetti come “prezzo per la pace” non sono adeguati, poiché hanno una carica negativa. Rispetto alla domanda è chiaro qual è stata la risposta dell’ampia maggioranza della base sociale della sinistra indipendentista che è stata quella che ha definito le basi ed i principi del processo che dobbiamo promuovere. Per tanto i parametri del dibattito e la conclusione non corrispondono con quelli della domanda. Per questo non è necessario parlare di situazioni che certamente non credo che si verifichino ne che arrivino a darsi.

D: Chi farebbe parte di questo “polo per la sovranità” sul quale, sembra, scommetta una parte della sinistra indipendentista? Non sembra che, a parte Eusko Alkartasuna, possa essere integrato da altre formazioni politiche. Dovrebbe farne parte anche la maggioranza sindacale basca?

R: Il polo per la sovranità non è un’insieme chiuso di sigle. Il polo per la sovranità, o come arriverà a denominarsi, fa riferimento all’insieme di forze e settori del paese che credono chiaramente che la soluzione ai problemi del paese, che le necessità del futuro del paese passano attraverso la costituzione di uno Stato, una repubblica indipendente in Europa, come hanno previsto fare gli scozzesi, i groenlandesi, catalani o fiamminghi. Corrisponde alle diverse forze politiche, sindacali e social del paese definire dove si collocano rispetto a questi postulati, se ciò che cercano è una mera riforma degli statuti di autonomia o credono che ciò che bisogna costruire è lo scenario che renda possibile l’indipendenza. Le forze sindacali del paese hanno anch’esse molto da dire. E’ necessario attivare il popolo basco di sinistra, l’insieme dei settori progressisti del paese nel lavoro per raggiungere la piena sovranità che renda possibile anche una ridistribuzione adeguata delle ricchezze del paese, e su questo terreno la maggioranza sindacale ha molto da dire. .

D: Lei pensa che data l’attuale correlazione di opinioni e forze in Euskadi, l’indipendenza è semplicemente possibile o incluso desiderabile?

R: Non solo credo che sia possibile e desiderabile credo che è necessaria. Abbiamo un paese che non solo per ragioni storiche, che sono importanti, ma soprattutto per ragioni di futuro, necessita l’indipendenza. Affinché possiamo sviluppare con piena capacità la nostra identità, la nostra lingua, la nostra cultura, necessitiamo di strumenti sovrani. Allo stesso tempo, il mondo globalizzato che stiamo vivendo, L’Europa che si sta costruendo e, come abbiamo segnalato, non ci piace in quanto a obiettivi e termini, rende chiaro che solo i popoli sovrani con capacità di decisione ed incidenza con voce propria sui problemi che la riguardano può sussistere. Non è strano che scozzesi fiamminghi, catalani, Isole Feroe o Groenlandia vedano la necessita di essere indipendenti e sovrani e potere così incidere sulle politiche globali che li riguardano. Noi baschi necessitiamo allo stesso modo essere sovrani, avere voce propria nel consesso delle nazioni, difendere i nostri interessi, sviluppare le politiche che ci sembrano più adeguate per lo sviluppo de nostro popolo. E per questo l’indipendenza non è solo desiderabile ma necessaria.

D: Se si crea questo polo per la sovranità, e tenendo presente che PSE e PP stanno già attuando assieme come blocco, non si corre il rischio di una divisione civile in Euskal Herria?

R: Perché? In scozia non c’è una divisione civile, nemmeno in Feroe o Fiandre, ne in Quebec. Perché ci deve essere una divisione civile nel paese con la formazione di un polo per la sovranità o indipendentista e non c’è adesso quando abbiamo un ambito giuridico che non soddisfa la maggioranza del paese? Se stabiliamo regole del gioco democratiche per le quali il paese sia come la maggioranza di esso desidera, non capisco perché ci debba essere divisione o frattura civile. Io sono disposto ad accettare, se la maggioranza del paese desidera continuare ad essere unita allo Stato spagnolo, che cosi sia, e per questo non si produrrebbe nessuna frattura sociale, non farei altro che continuare a lavorare per convincere i miei compatrioti, però niente di più. In fin dei conti è proprio in questo contesto che si vedrà il profilo democratico di ognuno.

D: Come qualificherebbe il lavoro che sta facendo il Partido Socialista d’Euskadi (PSE), con l’appoggio del Partido Popular (PP), nel Governo basco? E quello del Partido Nacionalista Vasco (PNV)?

R: Il PSE sa che il suo è un governo illegittimo, nato da una situazione chiaramente antidemocratica, contrario alla realtà sociologica del paese e sostenuto, inoltre, attraverso un accordo antinatura che unicamente è comprensibile in una prospettiva di ragione di Stato. I settori costituzionalisti unionisti del paese non hanno problemi nell’abbandonare le proprie divergenze con l’obiettivo, sia nella Comunidad Autonoma Vasca (CAV) che nella Comunidad Foral Navarra (CFN), di promuovere politiche di assimilazione e addomesticamento. E con questo obiettivo, e per questo obiettivo, attualmente sono gli unici che difendono gli ambiti autonomisti stabiliti con l’obiettivo di ritardare, il più tempo possibile, ciò che in termini storici sanno che è inevitabile , che un giorno i baschi e le basche decideranno liberamente di costituirsi in uno stato proprio. Per il PNV, esauritosi lo statuto di autonomia, si avvicina l’ora di decidere quale è, in realtà, il suo progetto storico, se è vivere comodi in Spagna o se ritornare alla loro origini politiche. Però è una decisione che loro devono prendere e spiegarla alla loro base, non è un nostro problema: noi abbiamo un progetto chiaro di paese da offrire.

D: Osserva sintomi di una tendenza a destra e accomodamento nella società basca? Che futuro hanno le opzioni di sinistra ed indipendentiste in questo contesto?

R: E’ certo che in questo contesto bloccato possa sembrare che c’è uno spostamento a destra del paese, però io sono convinto che la maggioranza di questo paese, è progressista, con valori di fraternità, di giustizia sociale, di lavoro comunitario molto radicati. C’è un popolo di sinistra nel senso ampio del termine che è maggioritario. E sono convinto del fatto che se attraverso il processo democratico siamo capaci di portare questo popolo verso un nuovo scenario, si constaterà che le opzioni sociali e politiche del cambiamento hanno un ampissimo sostegno nel paese, che c’è la possibilità di articolare maggioranze progressiste e indipendentiste.

D: Se Lei iniziasse un discorso con la frase di Martin Luther King “Ho avuto un sogno…”, come lo descriverebbe?

R: Certamente non sarebbe un sogno tanto diverso dal sogno di Martin Luther King, forse senza reminiscenze religiose però nel fondo molto simile. Desidero come Luther King che un giorno oppressori ed oppressi “ci sediamo assieme al tavolo della fraternità”. Che “la nazione si alzasse in piedi e sostenesse che tutti gli uomini e donne sono uguali”. Che il paese “si trasformi in un oasi di liberta e giustizia”, “che la libertà suoni e arrivi il giorno nel quale tutti fossimo capaci di unire le nostre mani e cantare le parole del vecchio spiritual nero: “alla fine liberi, alla fine liberi. Siamo alla fine liberi”. In fin dei conti possono cambiare le forme, gli obiettivi concreti però, in fondo, tutti gli oppressi cerchiamo la stessa cosa; la libertà.

Traduzione italiana a cura di www.talkingpeace.org

Testo originale in castigliano su www.rpublica.org/contenidos/473-entrevista-arnaldo-otegi-necesario-independentistas-progresistas-establezcamos-alianza-estrategica

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