lunedì 19 maggio 2014

CONTINUA LA REPRESSIONE CONTRO I GIOVANI NELLA TUNISIA "IN TRANSIZIONE DEMOCRATICA"


Sabato mattina 17 Maggio, nella centrale Avenue Bourghuiba a Tunisi, si è svolta una manifestazione davanti la sede del Ministero dell’Interno per chiedere la scarcerazione del famoso blogger Azyz Amami arrestato lo scorso 15 Maggio a La Goullette (sobborgo marittimo di Tunisi). La manifestazione era formata principalmente da giovani che hanno denunciato l’ennessimo atto repressivo da parte di questo “governo tecnico” di transizione contro i giovani ribelli che hanno animato la rivolta di fine 2010/inizio 2011 che ha permesso la caduta del governo fascista e pluridecennale di Ben Ali sostenuto dall’imperialismo occidentale.

Azyz è accusato di consumo e spaccio di stupefacenti (cannabis), questo reato in Tunisia è punito severamente fino a 5 anni di detenzione più una multa fino a 3000 dt (1450€). In realtà è molto probabile che il giovane blogger sia stato “incastrato” dalla manovalanza solerte e sempre attiva del Ministero degli Interni. Giusto pochi giorni prima il suo arresto, Azyz aveva lanciato una campagna virtuale dal nome “Anche io ho bruciato una stazione di polizia”, solidarizzando con i molti giovani  sotto processo e arresto con l’accusa di aver bruciato caserme di polizia durante la rivolta, formato “gang”, diffamazione e disturbato l’ordine pubblico: lo stato borghese dopo aver cambiato volto, ma non la sostanza, processa la rivolta ed i suoi protagonisti principali: i giovani che, insieme ai lavoratori, alle donne, ai disoccupati e al popolo tunisino hanno messo fine alla dittatura di Ben Ali!

In particolare i giovani di Djerba, di Kram, di Bouzayen e Gafsa sono tutti accusati di “diffamazione” contro personalità legate all’ex partito di regime lo RCD o per aver organizzato sit-in di protesta contro i recenti assassini politici di noti esponenti sindacali e di sinistra (Chokri Belaid e Mohamed Brahmi) uccisi presumibilmente dai salafiti con la connivenza dell’ex governo islamista a guida Ennhadha. In alcune località come Bouzayene, Regueb, Meknassi e Jelma, la popolazione sta organizzando dei comitati di sostegno per i giovani e organizza molto frequentemente manifestazioni davanti i tribunali.

Tornando alla recente manifestazione a Tunisi, i giovani hanno mostrato di non voler più chinare la testa davanti a questa continua criminalizzazione, e dopo aver lanciato slogans quali “Ministero dell’Interno è il Ministero del Terrorismo”, “Anch’io ho bruciato una stazione di polizia”, “Fedeli al sangue dei Martiri”, “Azyz, Sabri e Bou Zayan liberi!”, “Abbasso lo stato di polizia”, “Se la rivoluzione è un crimine, allora incriminateci tutti”, hanno simbolicamente iniziato a tagliare il filo spinato intorno al Ministero. 
Per chi non lo sapesse, il Ministero dell’Interno tunisino è eccessivamente militarizzato, il filo spinato percorre gli isolati e i marciapiedi adiacenti, nella principale Avenue Bourguiba su cui il Ministero si affaccia il filo spinato è presente anche nella parte centrale e pedonale della strada, tutto il suo perimetro è off limits e pedoni e mezzi sono costretti a deviazioni. È un luogo “istintivamente” odiato da molti tunisini in quanto all’interno i prigioneri politici vengono trattenuti e torturati. I primi mesi dopo la rivolta tutto questo apparato di filo spinato era stato smantellato per poi ripristanrlo subito dopo come chiaro segno di “normalizzazione” e continuità col passato...



Tant’è vero che i giovani immediatamente sono stati attaccati dalla polizia e inseguiti nelle vicine Rue de Marseille e Avenue de Paris, proprio in quest’ultima uno di essi ha rischiato di essere arrestato ma come testimonia questo  VIDEO è stato prontamente liberato dagli altri giovani che erano con lui mettendo in fuga i poliziotti. Sorte meno fortunata hanno avuto due reporter che sono stati fermati e tradotti in caserma dalla polizia.

A quasi 4 anni dalla rivolta (o “rivoluzione” come comunemente viene chiamata dai tunisini) e il seguente cambio ai vertici del potere, solo la borghesia compradora ha capitalizzato i principali risultati di questi eventi affidandosi prima agli islamisti (che tutt’ora sono influenti) e in seguito a questo governo tecnico che sta traghettando il Paese verso nuove elezioni generali da tenersi entro quest’anno in data ancora da definire.

I giovani, i lavoratori, le donne e i disoccupati stanno pagando il cosidetto “periodo di transizione” osannato da organizzazioni internazionali, capi di stato e di governo di tutto il mondo come un esempio da seguire nell’area, al prezzo di aumento della disoccupazione, diminuizione del potere d’acquisto mentre allo stesso tempo tutti i partiti parlamentari seduti alla costituente pensano solo alla prova elettorale e ad alleanze, mentre gli esponenti dell’ex regime vengono scarcerati uno dopo l’altro a partire dagli ex funzionari del Ministero dell’Interno. Chi tenta di riprendere il filo di continuità con la rivolta viene incarcerato e processato.

La rivolta era iniziata al grido di pane, lavoro e libertà, allo stato attuale la libertà di parola (pur sempre negli stretti recinti della fragile democrazia borghese tunisina) deve rappresentare solo un primo passo per completare il lavoro inconcluso e messo in pericolo dai nuovi padroni che si sono sostituiti al vecchio. Il fermento che ancora permane nelle università, sui posti di lavoro e nelle strade se riuscirà a trovare la giusta “direzione”  in modo da organizzarsi e strutturarsi potrà dare risposte concrete ai bisogni delle masse nel quadro di una vera “rivoluzione” di nuova democrazia.

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