Capitalismo, rivoluzione, violenza della polizia. Intervista
con un ex-militante del Black Panther Party
Vi proponiamo una lunga intervista realizzata nel maggio del
2015 con Jihad Abdul Mumit, membro dell’associazione Jerico Movement, fondata
nel 1988 da prigionieri politici negli Stati Uniti per chiedere il rilascio dei
compagni ancora detenuti. Jihad ha passato 23 anni in prigione per la sua
militanza nel Black panther party e nella Black liberation army, in particolare
è stato accusato di aver compiuto due espropri di banche per finanziare
l'organizzazione.
La chiacchierata con Jihad è stata l’occasione per
raccontare il suo percorso militante ma anche affrontare diversi nodi molto
attuali. È stata un’intervista emozionante e ci ha molto colpiti la tensione
verso il presente di questo vecchio militante, la profondità delle sue analisi,
la voglia di mettersi ancora in gioco, la chiarezza delle intenzioni unita a
una capacità di vedere le contraddizioni che ci circondano in tutta la loro
ricchezza.
Nonostante l’intervista sia stata registrata più di un anno
fa – eravamo a poche settimane dalla morte di Freddie Gray e nel momento
dell’esplosione del movimento Black lives matters – ci sembra aver conservato
tutta la forza di un punto di vista importante e di una testimonianza preziosa.
Partiamo dall’attività del Jerico movement. Quanti
prigionieri politici ci sono in questo momento negli USA?
È una domanda difficile, noi rappresentiamo in questo
momento circa 55 prigionieri, ma ci occupiamo solo dei prigionieri che vengono
da quel periodo specifico, che avevano una precisa ideologia e una strategia
per portare un cambiamento rivoluzionario nella società. Non posso quindi
rispondere perché ci sono tanti tipi di prigionieri politici, oggi ce ne sono
tantissimi, in particolare dopo l'11 settembre, anche se molti di loro sono
pure e semplici vittime. Vittime della sorveglianza della polizia, di trappole,
di quadri interpretativi, gente che ha semplicemente dato soldi ad associazioni
o che non ha fatto proprio nulla. Ce ne sono probabilmente centinaia di
prigionieri politici. Noi li riconosciamo tutti ma Jerico ha la capacità
organizzativa di occuparsi solo di una parte specifica di essi.
Hai vissuto un periodo molto intenso di lotte che si cerca
semplicemente di rimuovere dalla memoria collettiva, un po' come succede in
Italia. Cosa ha rappresentato questo periodo per te?
Nel 1970, quando avevo 16 anni (ne ho 60 oggi quasi 61) mi
sono unito al Black Panther Party. La situazione che vediamo oggi negli USA,
ossia la brutalità della polizia, il razzismo, tutto ciò esiste veramente
dall'epoca delle piantagioni schiavistiche, da secoli. L'essenza è rimasta la stessa.
C'è stata qualche riforma certo ma la cosa continua ancora oggi, come abbiamo
visto a Ferguson, a Los Angles, New York e ora a Baltimora.
Io ho raggiunto il BPP perché per me rappresentava
un'organizzazione con un'ideologia solida che portava una visione del
cambiamento negli USA, sfidando il capitalismo. Il BPP era un'organizzazione
marxista-leninista. Anche se ci concentravamo principalmente sulla gente nera,
la questione per noi era costruire una nuova società. Una cosa che facevamo per
esempio era questa. Quando qualcuno stava subendo un arresto, le pantere
arrivavano e si assicuravano che questa persona potesse beneficiare dei suoi
diritti, che non fosse brutalizzata dalla polizia. A quest'epoca portavamo
apertamente armi perché la legge statunitense lo permetteva a differenza di
ora. Era piuttosto facile ottenere fucili e altre armi. Immaginati la scena.
C'è qualcuno che viene spintonato dalla polizia. Un gruppo di persone arriva e
gli spiega i suoi diritti. E sono armati. La polizia la odiava questa cosa.
Capisci l'antagonismo. Noi cercavamo di spiegare alla comunità i loro
cosiddetti "diritti legali” (legal rights) in un sistema capitalista. Ma
anche i loro diritto alla autodifesa.
Avevamo anche programmi di sopravvivenza, per dare un'idea
di cosa sarebbe sembrata una nuova società dove si lavora collettivamente
insieme. Avevamo il breakfast program, il feeding the poors, il clothing
program, avevamo i nostri programmi scolastici, le nostre Liberation schools,
cliniche mediche per occuparci dei problemi di salute che la povera gente
poteva avere. Nei miei ricordi era proprio un costruire una nazione (nation
bulding), costruire una nuova società. E durante questo processo premunirsi
contro la repressione dello Stato e della polizia. C'erano anche altre
organizzazioni che lo facevano. Molte di queste organizzazioni erano
cultural-nazionaliste…
Come il
Nation of Islam…?
Il Nation of Islam era solo per le persone nere, per una
Nazione nera. Questa non era la posizione del BPP. E penso che la giustezza di
quella posizione è ben chiara oggi. Anche in quell'epoca, in cui il razzismo e
le segregazioni nella società erano così forti, un’epoca cui vedevamo bene che
la gente nera costitutiva una nazione a parte in un certo senso – con la sua
cultura, con le sue espressioni idiomatiche, con le sue maniera di fare e tutto
ciò che costituisce una cultura – riuscivamo comunque a renderci conto che
l'America diventava un paese sempre più integrato in cui la gente si mischiava.
E sarebbe stato un errore pratico e ideologico pensare di costruire una nuova
società in uno spirito di separazione e ciò è ancora più giusto oggi. Io credo
fortemente che non puoi separare la gente, è irrealistico e impraticabile. Ciò
non succederà mai. È lo Stato che ti divide, perché è uno Stato razzista, il
loro obiettivo è metterti contro la persona che ti sta accanto. Per di più,
pensare una nuova società separata penso aprirebbe la strada alla violenza
civile, lo vediamo in tanti paesi. E così le persone non combattano più contro
lo Stato, combattono tra di loro invece di combattere uno Stato che ruba le
loro risorse.
Comunque per rivenire alla domanda che mi facevi, ciò che
faceva il BPP, anche attraverso le armi, era costruire una nuova società,
educare le persone, mobilitarle, organizzarle anche attraverso
un’organizzazione militare, perché all'epoca credevamo nella lotta armata.
Che differenza vedi tra la situazione di allora e quella di
oggi?
Osserviamo le stesse identiche condizioni di allora oggi.
Persone prese di mira dalla polizia, uccise dalla polizia. Ma ora sembra che la
gente sia ben più confusa su ciò che bisognerebbe fare vista la mancanza di
leadership. Non c'è nessuna avanguardia che sappia interpretare la situazione,
ideologicamente, e portare la gente verso una direzione rivoluzionaria. Ti dico
ciò che vediamo ora. E non lo dico come critica, faccio solo una constatazione,
non è per dire "bisognerebbe fare così o colà", non credo sia la
buona maniera di fare, le cose stanno come stanno, a volte serve una vita
intera per apprendere la direzione da seguire. Comunque ciò che vedo è che la
gente reagisce emotivamente con la frustrazione, il disgusto e la rabbia
rispetto alla situazione che vivono. I quadri politici oggi sono talmente
riformisti che non riescono nemmeno a formulare una critica adeguata contro il
governo, una critica che suggerisca che bisogna davvero cambiare la struttura
della società. Penso che quindi molti delle sorelle e dei fratelli più giovani
sono molto frustrati, vedono ribellioni che cominciano come a Baltimora e che
la leadership nera critica la rivolta dicendo che stai distruggendo il tuo
stesso quartiere.
In realtà queste rivolte sono davvero appassionanti perché
se non fosse stato per loro, per le persone che sono scese in piazza spaccando
tutto non staremmo seduti qui con te mi stai chiedendo di tutto questo. Perché
non sapresti neanche di Freddy Gray, di Michael Brown. Quando c'è casino, la
gente dice "Toh, hai visto cosa sta succedendo da quelle parti? Quel fuoco
non ci piace proprio...", senza tutto questo leverebbero l'ennesimo corpo
dalla strada e sarebbe solo un altro nero morto ammazzato. Poi c'è gente che
non capisce e dice "Ma perché non vanno a dar fuoco ai quartieri della
classe media?". Beh per prima cosa il quartiere a cui stai dando fuoco non
è mica il tuo, ti autorizzano solo a viverci, non possiedi proprio nessuna
proprietà lì. Magari qualcuno sì e sono tipo "oh mio Dio, il mio
palazzo!" ma davvero non c'è nessun tipo di proprietà della comunità
(community ownership). Per seconda cosa, se cerchi di oltrepassare la linea che
ti porta in un altro quartiere ti mandano contro l'esercito, te lo garantisco,
il governo ha imparato la lezione dalle rivolte degli anni '60. Potrebbe
succedere, certo, ma di sicuro ti sparerebbero contro. Io penso che la gente
questa cosa sappia.
In ogni caso, credo che queste rivolte debbano essere usate
in maniera intelligente, per far svegliare le persone, far loro capire come
stanno le cose e magari arrivare a una coscienza più rivoluzionaria. Una
coscienza rivoluzionaria di oggi, che probabilmente non sarebbe come quella
degli anni '60 o '70 ma propriamente contemporanea.
Negli anni '60 e '70 una delle questioni centrali era quella
dei diritti civili e dell'uguaglianza. Almeno in senso formale ci sono stati
diversi passi avanti, oggi c'è un presidente nero, etc. ma sembra veramente che
la contraddizione razziale sia impossibile da assorbire per il capitalismo
statunitense e a volte, come nella violenza della polizia, si manifesta in
maniera palese. Come vedi questa evoluzione?
Ottima domanda. Comincio col dire una cosa. Il movimento per
i diritti civili era il riflesso dello schiviamo. Ci sono state generazioni di
schiavi ed era assolutamente naturale per le persone cominciare dal pensare che
questo era anche il loro paese. È naturale. E non sarà stato qualcosa di ideologicamente
corretto, magari sarebbe stato più corretto pensare di costruire il proprio
paese, di riconoscersi contro quello esistente, ma comunque era una pensiero
naturale! Coltivi la tua terra, la tua famiglia è qui, tu sei qui e dici
finalmente: "Questo è il mio paese". Io questa cosa la capisco. La
linea di pensiero del movimento dei diritti civili era quindi quello che
bisognava veramente lavorare nella direzione dell'essere accettati. Per
riformare le cose, "c'è qualcosa di sbagliato qui, allora proviamo a
ripararlo - non a sradicarlo, non a rovesciarlo - proviamo a ripararlo per
beneficiare finalmente di ciò che abbiamo costruito lavorando così duramente.
Perché siamo stati qui per 200 anni". Io veramente questa cosa la capisco,
capisco benissimo come una persona possa pensare in questo modo. Non sono
d'accordo ma lo capisco. Questo pensiero e questo marciare tutti insieme in
strada, c'è voluto tanto coraggio. Serviva anche tanta disciplina, per stare lì
a prendersi le botte mentre la polizia ti picchiava in un periodo in cui
c'erano linciaggi, omicidi, rapimenti e torture. La gente veniva ritrovata in
fondo al fiume, impiccata a un albero o bruciata viva. Era questo che succedeva
in quel periodo. E c'è stato uno sforzo costante del movimento per i diritti
civili, con questi cortei che restavano relativamente pacifici, per riformare
il sistema americano perché i neri potessero essere accettati e godere dei
vantaggi di quella società.
Grazie a questo sforzo costante immagino che fosse solo una
questione di tempo prima di avere un presidente nero. Perché il pensiero della
struttura del potere è per prima cosa "se non puoi batterli unisciti a
loro". Unisciti a loro nel senso influenzali. E il sistema si assicura che
chiunque arrivi a certe posizioni di potere pensi esattamente come facevano
quelli prima di lui. Che sarà anche lui una marionetta. E tutti sono contenti.
Dicono: "Voi avete un presidente nero, noi non dobbiamo più preoccuparci
di un vero cambiamento". Capisco che ciò può suonare un po' semplice,
probabilmente anche semplicistico perché ovviamente c'è una contraddizione in
ogni cosa, anche in questa strategia del potere ci sono possibili antagonismi.
Per esempio una cosa forse positiva di un presidente nero è che costruisce
orgoglio e autostima. Ma comunque resta un presidente che rappresenta gli
interessi del governo degli Stati Uniti. Ogni presidente di sicuro ha la sua
maniera di fare ma all'interno di questo progetto. La destra lo odia ma non ha
certo paura di Obama. Sì magari qualche cretino di estrema destra pensa che sta
cambiando tutto, ma i conservatori che hanno i piedi per terra sanno benissimo
che non sta cambiando proprio nulla. E tanto tra qualche mese sarà storia
vecchia. Non si preoccupano perché si preoccupano solo dei cambiamenti nelle
relazioni economiche e queste non stanno cambiando granché, Obama rappresenta
comunque la struttura di potere della classe media.
Su un livello sistemico, a tuo parere, qual è il ruolo della
persistenza delle divisioni razziali nel mantenere e perpetuare il modello
economico americano oggi?
Questo è il punto. Per me qui tocchiamo il centro della
questione rivoluzionaria. Se non si cambia il sistema economico i problemi
resteranno. E purtroppo quindi io penso che resteranno per tanto tempo.
Sono forse cinico e pessimista ma guardo le lotte in giro
per il mondo e i movimenti rivoluzionari, come si sviluppano, osservo le loro
contraddizioni e c’è una cosa che veramente mi tocca nel profondo: è la
questione dell'uguaglianza anche all'interno delle stesse forze progressiste o
rivoluzionarie. Fammi essere diretto e chiaro quanto la tua domanda. Ti dico
solo la mia opinione. Con le politiche riformiste a cui assistiamo oggi questo
genere di problemi resteranno esattamente lì dove sono perché il sistema non
cambia. Quelli che sono al potere controllano le ricchezze del mondo – e non
parlo solo degli USA –, le cose non cambieranno finché non ci sbarazzeremo di
loro, li ammazzeremo, li rovesceremo, li elimineremo dalla faccia della terra e
fonderemo una società completamente nuova. Altrimenti questi problemi
resteranno sempre gli stessi. Altrimenti rimbalzeremo solo tra diverse
situazioni, a volte sembrerà che le cose vanno un po’ meglio ma poi ci
accorgeremo che le cose restano comunque le stesse. E infatti probabilmente le
cose resteranno così per tanto tempo. Voglio dire... la via rivoluzionaria....
ciò mi tocca nel profondo, mi considero io stesso un rivoluzionario, un
compagno che ha militato in tante organizzazioni e ho avuto l'occasione da
questo punto di vista di vedere, di capire, di pensare e conoscere tanta gente
e penso che al nostro interno abbiamo tanto lavoro da fare. Abbiamo tanti
problemi. Problemi di potere. E mi fa paura l'idea di una forza rivoluzionaria
che arriva al potere e diventa più oppressiva di quanto Bush o Obama potrebbero
mai essere. Si rischia di portare la gente verso uno Stato davvero cattivo.
Forse vacillo un po’ nelle mie convinzioni. Per esempio abbiamo questa
barzelletta nella nostra associazione, Jerico. Diciamo che agiamo nella maniera
più radicale possibile all'interno del riformismo. Cioè... quello che penso è
che il problema della rivoluzione pone anche il problema della reazione. A
causa della mancanza di maturità a cui ci troviamo di fronte. Ripenso a ciò che
è successo alle pantere. A come ci siamo battuti tra di noi, come ci siamo
ammazzati tra di noi! Voglio dire l'obiettivo era il governo avevamo il nostro
programma e BANG! BANG! ci siamo sparati contro tra di noi senza manco
pensarci. Mi rendo conto di quanto è stato brutto ucciderci tra di noi e
giustificarlo nel nome della rivoluzione.
La lotta rivoluzionaria dev'essere strutturata in modo da
mantenere l'integrità delle tue convinzioni ideologiche ma allo stesso tempo
dev'essere un modo per prepararsi, per crescere, per diventare gente diversa
che fa cose diverse, per avere abbastanza conoscenze da controllare le risorse
in caso arrivi al potere, per essere abbastanza maturi e abbastanza rispettosi,
ripeto RISPETTOSI abbastanza per riuscire a tollerare e lavorare con altri
gruppi rivoluzionari e non ucciderci a vicenda. Quando fai una rivoluzione e
non hai padroni, dovresti capire come fornire acqua potabile, assistenza
medica, gli stessi standard di vita. Non pensare a queste cose credo sia un errore
pericoloso.
Inoltre la psicosi dello schiavismo ha creato così tanto
rabbia che io, davvero sono una persona pacifica ma se mi girasse male mi
verrebbe più facile ammazzare te piuttosto che i poliziotti, gli oppressori!
Perché saresti un obiettivo talmente più facile. Ci portiamo dietro secoli di
sofferenza e dolore, secoli di dolore, sofferenza e frustrazione. Dal di fuori
posso sembrarti gentile ma dentro sono teso come una molla. E questo cosa
uscirebbe fuori, ne sono convinto al cento per cento.
Cioè veramente queste cose te le dico come una liberazione,
mi levo un po’ un peso. Davvero sono cose a cui tengo perché io credo nella
lotta rivoluzionaria e nel cambiare radicalmente la società, quindi guardo allo
stato di cose presenti di ciò che amo.
C'è sicuramente il fatto che l'ipotesi comunista rispetto a
quarant'anni fa è immensamente più debole. Però c'è da calcolare il fatto che
oggi non c'è spazio politico neanche per il riformismo, non ci sono possibilità
di ridistribuzione, per esempio all'interno di un sistema di welfare. Forse è
per questo negli USA siamo davvero passati da un sistema di stato sociale a un
sistema di stato penale. Alla fine è una conseguenza dell'assenza di ipotesi
rivoluzionaria, del fatto che quelli che stanno sopra non hanno più paura e
sentono che ormai possono anche evitare di lasciare le briciole. Ormai c'è solo
la repressione e così la prigione diventa qualcosa di centrale e non più
marginale nella gestione della società. Le statistiche sulla proporzioni di
neri che sono in prigione negli USA è assolutamente impressionante. E se
pensiamo agli USA come alla punta più avanzata delle tendenze del capitalismo
mondiale vediamo che questa stessa tendenza sta anche arrivando in Europa,
pensiamo solo al numero di migranti in prigione o nei centri di detenzione.
La mia domanda è sul come e perché, secondo te, la
repressione è diventata così centrale nel governare la povertà, in particolare
dei neri?
Le prigioni sono una maniera di controllare la popolazione
nera, disarticolare le comunità nere e le famiglie, indebolirne la forza,
sfruttare le persone col lavoro manuale e captarne la ricchezza. La prigione è
un grande aiuto per le strutture di potere e per difendere lo status quo. E hai
ragione, oggi ci sono tra i due e i due milioni e mezzo di persone che si
trovano in prigione negli USA, un paese che ha il 5% della popolazione mondiale
ma il 25% della popolazione carceraria mondiale. E questa popolazione
carceraria è costituita tra il 46% e il 49% di neri (quando i neri rappresentano
solo tra il 14% e il 15% della popolazione statunitense). La sproporzione dei
neri in prigione è veramente sintomatica della debolezza della nazione nera in
quanto tale. È fondamentale per le strutture di potere avere queste prigioni e
questi istituti per estrarre lavoro e distruggere l'unità delle famiglie
all'interno della comunità. Gli Stati Uniti sono uno stato di polizia.
C'è questo compagno molto conosciuto, George Jackson, membro
delle BP che è stato ucciso dai secondini in carcere dopo una decina d'anni di
detenzione. E ha scritto diversi libri, tra cui “lettere dal carcere” e poi
questo libro fondamentale "Col sangue agli occhi". In quel libro fa
un'analisi molto giusta. La forma più forte del fascismo non sono i militari nelle
strade, che è una cosa di cui ti rendi conto, ma il fatto di essere riusciti a
indottrinare la gente a un punto tale che essi diventano la loro propria
polizia. Che fanno la spia, che ti denunciano, che faranno senza rendersene
conto il lavoro dell'oppressore. Tutto ciò è una forma molta forte e
sofisticata di fascismo.
Il sistema delle prigioni in un certo senso è il sistema
delle piantagioni: i guardiani sono neri. In tante prigioni i secondini, i
sorveglianti, gliscreen shot 2015 03 01 at 10 45 12 pm assistenti sociali sono
tutti neri. È una cosa che puoi vedere praticamente ovunque. Sono tutti neri e
fanno il lavoro sporco delle strutture di potere. Non hanno alcuna coscienza e
sono politicamente pericolosi, è davvero fenomenale. Io ho passato 23 anni in
prigione perché facevo parte del Black Panther Party ma anche della Black
Liberation Army. Sono stato condannato per due espropri di banche. Mi hanno
dato in tutto 43 anni, dopo 23 anni sono uscito.
Sono tornato a casa nel 2000 con la condizionale. Gli ultimi
sette anni di pena mi hanno davvero illuminato su come funziona il sistema
giudiziario e penale americano. Ho sempre saputo che quando fossi uscito sarei
uscito con la condizionale (on parole). Quindi negli ultimi sette anni ho fatto
un’attività di assistenza ai detenuti sieropositivi. Quando sono tornato a casa
ho trovato questa opportunità di lavoro per fare assistenza ai sieropositivi e
mi hanno assunto. In seguito, mi hanno proposto di andare nelle carceri. E ho
detto loro "Cosa? Voi siete matti!" ma alla fine ho accettato. E
quindi sono ricominciato ad andare nelle prigioni e ne ho viste tantissime per
il mio lavoro, mi assicuro che detenuti sieropositivi abbiano le medicine,
l'assistenza medica, etc. Sono tutti neri. I prigionieri sono neri. I secondini
sono neri. Gli assistenti sono neri. E allora mi sono detto: possediamo la
nostra piantagione! Fatto salvo che non possediamo il sistema. Noi facciamo i
lavori più umili. Il livello di coscienza tra le guardie è così apolitico e
pro-sistema che ti devi pizzicare per controllare di non star sognando tutto.
Per me c'è un collegamento tra il sistema delle piantagioni
e un sistema di controllo così avanzato da assicurarsi che noi ci
auto-controlliamo. Non c'è’ mai stato un esempio migliore del sistema penale che
vede guardie nere e latine che controllano e picchiano altri schiavi. Io sono
stato picchiato più volte in prigione dai secondini, e la volta che sono stato
picchiato più duramente, a dirigere la violenza c’era un tenente nero. Per me
comunque il sistema penale è veramente il riflesso preciso di questo modello di
controllo delle comunità nere.
In generale, c'è un'illusione che ti permettono di esprimere
dissenso negli Stati Uniti e quell’illusione è basata sul fatto che il governo
ti permette concede il diritto di manifestare Ma questo permesso è necessario
perché la struttura di potere si mantenga com’è. L’attivista e comico Dick
Gregory faceva questo esempio: la gente che manifesta è come la valvola di un
bollitore. L'acqua bolle e ti permettono di manifestare solo come sfogo, come
una valvola che continua sempre a fischiare e permette all'acqua di continuare
a bollire e restare dov'è. Il sistema ti permette di manifestare perché così
può far vedere al mondo che siamo in democrazia, che la gente lo può fare, ma
se causi troppi problemi ti possono eliminare chirurgicamente, uccidere o
sbattere in prigione. Ma principalmente la gente può sfogarsi perché se non lo
permettessero, come succede in molte nazioni, dove esiste una forma di
repressione assoluta, sarebbe come mettere un dito sulla valvola di sfogo e in
quel caso sappiamo che cosa succede: BUM! Ci sarebbe una gigantesca esplosione
che sarebbe la lotta rivoluzionaria, forse addirittura una rivoluzione! E se
fosse, come dicevamo prima, matura, saggia e abbastanza aggressiva da portare
un cambiamento positivo le cose cambierebbero. Negli Stati Uniti, che sono una
superpotenza dal momento che ha risorse e può fornirti beni materiali nella
povertà, la gente può sfogarsi: “prendiamo quella roba, hanno ammazzato Freddie
Gray!...”. Ti permettono di farlo, restano a guardarti ma quando esageri ti
reprimono un poco, ma stanno a guardarti mentre distruggi un paio di macchine.
Così funziona. Lo fanno apposta e hanno il lusso di farlo perché sono una
superpotenza che ha risorse da fornirti al punto che nella tua povertà tu possa
avere uno schermo piatto a casa tua nel ghetto, uno smartphone nonostante tu
sia un senzatetto.
Come diceva Malcom X puoi essere molto povero ma hai ancora
delle cose materiali che ti rendono la vita facile, ti guardi un film, ti mangi
il pop-corn, ti diverti anche nella tua povertà. E poi c’ è la speranza di
avere di più, indotta tramite la pubblicità, con il gioco d’azzardo. È come
avere una carota davanti a te, ti dici “magari un giorno quello sarò io”. Ti
danno abbastanza da farti sentire soddisfatto anche quando sei povero, così
quando altri Freddie Grey vengono ammazzati, scendi in strada, sei arrabbiato
ma in fondo alla tua testa - non voglio sembrare cinico, e non voglio
generalizzare - non vuoi perdere quello che possiedi in favore di un futuro
sconosciuto di lotta per la rivoluzione. Non conoscevo nemmeno Freddie Gray...
è come se capissi di averne avuto abbastanza e magari sei coinvolto
emotivamente, ma queste emozioni non sono quelle che producono una lotta
durevole, e sostenuta alla quale ti vuoi dedicare intensamente.
Va sempre valutato il fatto che il 99% delle persone che
scende in strada ha una visione riformista di ciò che fa, magari di riforma
radicale anche attraverso la violenza. Ma per me c'è comunque una differenza
tra l'affrontare semplicemente la polizia e farlo in maniera rivoluzionaria.
Questo far fronte alla polizia di questi giovani è semplicemente l'essere
umano, il dire "Non potete più ucciderci, mettiamoci insieme per essere
sicuri che non lo farete più". Ecco cos'è. Ed è una cosa forte! Ma è
diverso del dire "Non potete più farlo ecco perché ci sbarazzeremo di
questo sistema e costruiremo il nostro".
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