Migliaia in strada contro il governo, le forze di sicurezza
attaccano con gas e proiettili di gomma. La prima manifestazione contro al-Sisi
dall’elezione a presidente, nell’estate 2014.
Nelle strade egiziane della protesta anti-governativa appare
anche Giulio. A reggere un cartello con il suo volto è una donna: «Giustizia
per Regeni, i cinque uccisi e tutti i martiri», dice il manifesto esibito
proprio di fronte alla sede della Corte Suprema. In realtà i manifestanti non
sono riusciti a raggiungere Piazza Tahrir, a impedirglielo cordoni di polizia
impossibili da passare: poliziotti in tenuta anti-sommossa, un centinaio di
veicoli blindati a circondare la piazza, checkpoint militari in ingresso al
Cairo, gas lacrimogeni e proiettili di gomma che hanno invaso le strade che
portano alla piazza simbolo della rivoluzione del 2011.
E la fermata della metropolitana di Sadat chiusa fin dalle
prime ore del mattino, come nei giorni bui successivi al golpe del 2013.
Le marce contro il presidente al-Sisi erano partite da due
moschee, la Mustafa Mahmoud e la al-Istiqama, per dirigersi verso Tahrir dopo
la preghiera del venerdì. Forte la concentrazione anche di fronte alla sede del
sindacato della stampa, teatro nei giorni scorsi del sit-in delle famiglie dei
42 giornalisti egiziani tuttora in carcere.
Sono stati esibiti cartelli con su scritto “La terra è
onore”, chiaro riferimento alle due isole sul Mar Rosso, Tinar e Sanafir,
cedute ai sauditi, ma soprattutto si sono sentiti slogan urlati con forza: «La
gente vuole la fine del regime», «Basta con il potere militare», «Al-Sisi
vattene». Al fitto lancio di lacrimogeni e proiettili di gomma la folla si è
dispersa in ogni direzione, cinquanta gli arrestati tra cui una trentina di
giornalisti e fotografi.
Dopotutto il Ministero degli interni aveva lanciato giovedì
tetri avvertimenti: «Non scendete in piazza o saranno prese tutte le misure
legali necessarie a garantire la sicurezza». E con legali si intende la
repressione violenta, garantita dalla nuova legge promossa dal regime militare
che non autorizza sit-in o marce se non previa comunicazione e accettazione
delle autorità.
Ovviamente si parla della sicurezza del regime, non del
paese. In strada ieri c’erano tutte le anime di opposizione, dai Fratelli
Musulmani al Movimento 6 Aprile, tra i più colpiti dalla repressione di
al-Sisi, dai movimenti giovanili ai nasseriani e ai socialisti rivoluzionari.
Perché se la chiamata alla protesta è partita dalla cessione delle due isole,
in strada si è scesi per gridare la rabbia contro il regime.
I numeri previsti sono stati disattesi, forse per paura dei
servizi di sicurezza: alla fine, secondo i media arabi, i manifestanti erano
3-4mila. Molti di meno, qualche decina, i manifestanti pro-governativi che
hanno marciato ad Alessandria, in risposta a Piazza Tahrir. Ma la portata della
protesta di ieri è comunque molto significativa: è la prima vera manifestazione
di massa dall’elezione dell’ex generale al-Sisi alla presidenza, dall’estate
del 2014. Una protesta che si accompagna alle sferzanti critiche che nelle
ultime settimane la stampa egiziana, pro governativa e non, hanno riservato al
Cairo.
Chiara Cruciati da il manifesto
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