Crediamo che il vostro appello parta da una giusta esigenza
e necessità, per questo condividiamo parzialmente alcuni contenuti espressi, su
altri concetti invece siamo in disaccordo (in parte anche nel merito di alcuni
dei “paletti” che avete indicato).
Innanzitutto condividiamo il fatto che a fronte di decenni
di propaganda anticomunista in generale, “rafforzata”da una propaganda
anti-partito in particolare anche nel campo rivoluzionario dove operiamo,
richieda la necessità di fare sforzi per unire la gioventù rivoluzionaria in
un’organizzazione che rafforzi le potenzialità della gioventù proletaria e
ribelle che nel nostro paese, e nei paesi imperialisti, esplode con slanci
intensi e potenti, come citato da voi riguardo il 14 dicembre e il 15 ottobre (ma
pensiamo anche alla rivolta delle banlieues, ai riots di Londra, alla Grecia,
alla rivolta degli studenti canadesi di questi giorni), salvo poi spegnersi
proprio a causa dell’assenza di questa organizzazione tra le proprie fila.
L’esperienza dei centri sociali ha dimostrato che senza una
prospettiva strategica c’è il rischio che essi degenerino in “pub alternativi”
o contribuiscano alla frammentarietà del movimento di opposizione sociale (soprattutto
nelle grandi città in primis Roma e Milano questo è un problema strutturale),
diventando ognuno di esso luogo autoreferenziale (pur conducendo in molti casi
lotte e pratiche giuste). Manca un collante nazionale, spesso anche tra centri
sociali della stessa area, in grado di dare una risposta adeguata agli attacchi
di padronato e governo che al contrario avvengono a 360 gradi e diretti in
maniera centralizzata.
Detto questo crediamo che tale processo unitario debba
avviarsi partendo da un metodo condiviso e ancorato al materialismo
storico-dialettico e innanzitutto dall’esperienza concreta e materiale di lotta
sia a livello internazionale che nazionale.
In tal senso è fuorviante riferirsi alla caduta del blocco
social-imperialista (URSS e “democrazie popolari” dell’Est Europa) come alla
“caduta del socialismo”.
In alcuni di questi paesi il socialismo è caduto molto prima
del cambio di bandiera, in altri come in Cina il capitalismo regna ormai da
decenni nonostante nelle piazze sventolino ancora bandiere rosse.
Dopo la morte del compagno Stalin la cricca capeggiata da
Kruscev ha attuato un colpo di stato restaurando il capitalismo in URSS e a
cascata ciò è avvenuto in tutti i paesi del blocco socialista nell’Est Europa
eccetto in Albania per un po’ di anni ancora.
È giusto porsi oggi la questione di scegliere tra
“socialismo e barbarie” ma intendiamoci prima di tutto su cosa è socialista e
cosa non lo è.
Le riforme liberali post ’53 in URSS e in questi paesi hanno
traghettato essi stessi verso il capitalismo e non viceversa, la caduta di
questi regimi dal 1989 in
poi segnano la bancarotta del revisionismo, non del socialismo e del comunismo,
per questo a tutti i detrattori delle esperienze concrete del proletariato
possiamo dire con forza che in quei paesi non è il socialismo ad aver fallito
ma il capitalismo mascherato da esso che, dopo aver gettato al maschera, ha
mostrato il suo vero volto alle masse peggiorando ancor di più il loro livello
di vita.
Un salto di qualità contro i tentativi di restaurazione del
capitalismo, burocratizzazione del partito, distacco del partito e
dell’esercito popolare dalle masse ecc è avvenuto in Cina e si chiama Grande
Rivoluzione Culturale Proletaria sotto la guida del compagno Mao-Tse-Tung
grazie alla mobilitazione di decine di migliaia di giovani rivoluzionari molti
di essi “senza partito”.
Così come la
Comune di Parigi e la Rivoluzione d’Ottobre, la Grande Rivoluzione
Culturale Proletaria rappresenta una tappa storica del proletariato che
arricchisce qualitativamente il marxismo di quegli anni ovvero il
marxismo-leninismo e insieme ad ulteriori sviluppi nel campo filosofico,
militare, organizzativo, ideologico ci fa parlare oggi di
marxismo-leninismo-maoismo.
Circa i 3 paletti che ponete per la discussione:
sul primo siamo totalmente d’accordo, niente da aggiungere.
Andando al secondo, pensiamo che la “cassetta degli
attrezzi” sia completa se a questa si aggiunga il “maoismo” che non è elemento
a se, ma lo sviluppo del marxismo-leninismo ad una sua tappa superiore, il
marxismo-leninismo-maoismo per come abbiamo accennato sinteticamente qualche
rigo sopra ma la discussione va sicuramente approfondita.
Maoismo nei paesi imperialisti significa legarsi alla
gioventù proletaria e ribelle, significa organizzare i lavoratori in un
sindacato di classe, significa costruire un partito comunista di tipo nuovo.
Attualmente un buon esempio di un partito del genere in un
paese imperialista è rappresentato dal Partito Comunista Rivoluzionario
canadese che oggi è in prima linea nella lotta studentesca in corso; oggi
questo lavoro i partiti m-l, eccetto rare eccezioni, lo disertano.
Per costruire un partito con queste caratteristiche in
Italia, per noi significa rompere con la tradizione e concezione ereditata dal
PCI revisionista ma far tesoro delle esperienze rivoluzionarie avanzate della classe
operaia italiana: la fondazione del Partito Comunista d’italia, il contributo
di Antonio Gramsci, la Resistenza Partigiana
tradita da Togliatti, tutti quei movimenti che nel dopoguerra al di fuori del
PCI, pur con differenze di concezioni e
pratiche hanno provato a rispondere ad un problema reale: la necessità di
organizzazione non più possibile all’interno di un partito ormai degenerato nel
riformismo.
Quindi analizzare criticamente le esperienze rivoluzionarie
del decennio ’68-’77 prendendo gli aspetti positivi e individuandone i punti di
debolezza che allora non permisero di giungere alla soluzione.
Infine sul terzo paletto siamo d’accordo sulla prima parte,
ovvero sulla necessità di organizzarci e opporci contro qualsiasi intervento
imperialista in primis del nostro paese.
Per quanto riguarda la questione di Cuba e di altri paesi
come Cina, Laos, Vietnam, Corea del Nord e i cosiddetti paesi bolivariani in
primis il Venezuela, per quanto detto sopra questi paesi non sono da
considerarsi socialisti: alcuni come Cina, Laos e Vietnam sono pienamente
integrati nell’economia di mercato, altri hanno progressivamente introdotto
riforme liberali in primis Cuba e Corea del Nord. In Sud America si tratta
principalmente di borghesia nazionalista che si è rivoltata contro l’ingerenza
dell’imperialismo principalmente americano e persegue i propri interessi di
classe non quelli del proletariato.
Un elemento che li accomuna tutti in quanto paesi
non-socialisti è che i mezzi di produzione non sono socializzati ma sono in
mano alla borghesia e non alla classe operaia.
Oggi i nostri punti di riferimento da sostenere sono le
Guerre Popolari in India, Perù, Filippine, Turchia Nord/Kurdistan dirette da
partiti comunisti marxisti-leninisti-maoisti, esse vanno supportate con il più
sano spirito internazionalista proletario. In questi stessi paesi i cosiddetti
“partiti m-l” spesso stanno dall’altro lato della barricata aiutando
attivamente i governi di quei paesi in campagne contro-rivoluzionarie. Per
questo nella scelta tra rivoluzione e contro-rivoluzione c’è una linea di
demarcazione che divide i partiti m-l da quelli m-l-m.