mercoledì 28 dicembre 2011

IN MEMORIA DI FRANCESCO PINNA E DI TUTTI I GIOVANI PROLETARI UCCISI DAL CAPITALE


INTERESSANTE CONTRIBUTO DA UN "FACCHINO INTERNAZIONALISTA", PER NON DIMENTICARE FRANCESCO PINNA FACCHINO-STUDENTE PRECARIO MORTO SOTTO IL PALCO CHE AVREBBE VISTO JOVANOTTI ESIBIRSI NELLA DATA DI TRIESTE. LA GIOVENTU' PROLETARIA SIA ESSA OPERAIA, PRECARIA O DEI QUARTIERI POPOLARI DEVE ORGANIZZARSI PER ROVESCIARE QUESTO SISTEMA CHE LE RISERVA SOLO MORTE E SFRUTTAMENTO.

Lettera di un facchino internazionalista

La vita di un facchino vale meno di un elevatore elettrico in affitto.

Lo ha detto un elettricista in un allestimento fieristico e purtroppo è vero

Anche se è in realtà ben poco regolamentato, il montatore di palchi, non è un lavoro con un’unica mansione e un unico livello. Per quanto riguarda i tecnici: luce, audio, video, gli elettricisti, i montatori del “layer” (l’impalcatura in ferro che circonda e regge il palco e a volte sostiene lateralmente le casse audio) e del “ring” (che regge le luci e l’audio quando non è possibile appenderli ad un soffitto) di solito seguono i tour regolarmente assunti o dalla ditta o dalla cooperativa per cui lavorano abitualmente, o direttamente da chi organizza il tour. Le cosiddette maestranze, così li chiama, lodandoli, Lorenzo Cherubini, in arte Jovannotti, forse anche per coinvolgerli nella difesa corporativa del settore spettacolo momentaneamente sotto accusa, ma soprattutto per distinguerlI dai facchini che non vivono la “magia del tour”, però crepano, come Francesco Pinna, per allestire il suo palco. Le maestranze appunto, vengono pagate molto meglio dei semplici facchini, ma al contrario dei semplici facchini, pagati ad ora, sono pagate a forfait, indipendentemente dall’orario di lavoro che fanno. Inutile dire che sia il tecnico che il facchino sono lavori pericolosi e faticosi in questo settore di fatto assimilabile agli allestimenti teatrali e fieristici, perché nello stesse mansioni, o quasi, sono impiegate quasi le stesse persone, che lavorano per le stesse cooperative, ditte o services (cioè coloro che forniscono gli impianti e il personale per montarli).

E’ chiaro che, indipendentemente dal fatto che si compia fatica, che si sia pagati “bene” o male, si lavorerà diversamente se si è pagati in nero, in grigio o regolarmente, ma ad ora, oppure a forfait.

Il giochino di pagare “bene”, ma a forfait, i tecnici, e male, ma ad ora, i facchini, divide queste categorie spingendo molto spesso i tecnici a velocizzare il lavoro oltre i più elementari limiti di sicurezza e a fare oltretutto i cani da guardia dei facchini. Per fortuna non sempre questo avviene, ma capita che sia la regola, perché se il tempo per qualunque imprenditore è denaro, è ovvio che lo risparmierà sulla pelle dell’operaio, in fabbrica, come in cantiere, come sul palco di un concerto. Per risparmiare si velocizzano i ritmi a livelli estremi, tenendo i lavoratori divisi, per categorie, modalità di pagamento e dunque per interessi spiccioli immediati, gli uni a controllo degli altri… e quando tutto questo non è contrastato almeno dal buon senso, diventa un gioco assai pericoloso.

Ho lavorato molti anni come facchino e qualche volta come tecnico, al montaggio di palchi per concerti, fiere e spettacoli teatrali e mi è capitato di vedere cadere un operaio specializzato (un tecnico) da un palco, dopo che il suo caposquadra lo aveva incitato a lavorare insieme a tutti noi, a ritmi assurdi, tutto il giorno. La fortuna ha voluto che non morisse, ma quei bastardi della cooperativa che ci aveva mandato pretendevano che noi continuassimo a lavorare, non lo abbiamo fatto… almeno quella volta! Era un concerto e io lavoravo come facchino, in nero. Diversamente è andata qualche anno prima nel disallestimento di una fiera (lavoravo in regola, ma con uno dei tanti contratti capestro che esistevano anche prima della legge Biagi, di fatto non avevo né malattia, né contributi, né l’assicurazione anti-infortunistica che avrei dovuto pagarmi io). Lavorando su una scala, da solo, un elettricista è morto nel capannone di fianco a quello dove stavo io, nessuno se ne è accorto…il giorno dopo nessuno si è fermato nemmeno a portare un fiore dove è morto, io ho distribuito un volantino sull’accaduto, tre giorni dopo, nell’indifferenza generale. Per anni non sono stato più chiamato a lavorare in nessuna fiera — il service per cui lavoravo era un service che si occupava di fiere e concerti.

È chiaro che sentire parlare Jovanotti del magico mondo del montaggio palchi, dove i tecnici fanno un lavoro bellissimo sono responsabilissimi e i facchini sono un po’ meno accorti, ma sono tutti regolarmente assunti, quando ormai anche la regola nasconde la privazione di ogni più elementare garanzia, in questo come in altri settori, ma in questo in particolare, mi fa schifo.

Mi fa schifo sentire dire che, secondo il suo tour manager, i facchini che lavoravano al suo concerto di Trieste il 12 dicembre 2011, dove uno di loro è morto e otto sono rimasti feriti (di questi uno è ancora in rianimazione) per il crollo della struttura che montavano sulla loro testa, sono pagati 13,5 euro l’ora dalla cooperativa che li fornisce. Probabilmente finge di confondere la cifra oraria che lui sborsa alla cooperativa che ne darà al facchino si e no la metà, con un contratto che probabilmente non comprenderà contributi pensionistici nè malattia e con un’indennità per gli infortuni ridicola… ma ci sono abituato a vedere questi artisti impegnati, dispiacersi, piangere per le guerre e le ingiustizie lontane e poi meravigliarsi sulle tragedie che gli succedono accanto, giurando e spergiurando che dove stanno loro il sistema è equo, il lavoro è responsabile e ben pagato, il mondo è magico.

I Modena City Ramblers paladini della sinistra erano dei campioni in questo; quando ho lavorato come montatore layer al loro tour, i facchini erano quasi sempre minorenni pagati a birra e salsiccia, a fare un lavoro quasi cantieristico: mi passavano i pezzi di ferro che montavo, alcuni si arrampicavano sulla struttura per passarmi i pezzi, uno stava per svenire sotto il sole… quando l’ho fatto presente agli “artisti-compagni”, una sera che lamentavano che si parlasse poco di politica a cena, se ne sono altamente fottuti. Eravamo a un festival dell’Unità e i facchini li forniva la sinistra giovanile, tutti minorenni.

Per concludere, un pensiero va a tutti quelli che continuano a montare i palchi: a Bologna la paga “in regola” per un facchino del settore spettacolo è 6/7 euro all’ora, il contratto, se c’è, è atipico (zero garanzie); immagino che al sud la paga sia minore e so per certo che è più bassa a Milano e a Roma, dove il settore è più grande e attrae maggiormente i lavoratori immigrati, spesso senza permesso di soggiorno e quindi ancora più ricattabili. Oltre ai giovani e agli studenti, nel settore, iniziano a vedersi molti operai “in cassa” o disoccupati, che cercano di riciclarsi o che semplicemente cercano un po’ di ossigeno per respirare in questa aria di crisi. Se il mare in cui navighiamo, il capitalismo contemporaneo, è così merdoso, nella grande barca proletaria il comparto “spettacolo” è piccolo, ma a volte anche da un settore marginale può accendersi la miccia, per navigare finalmente in acque limpide.

Di sindacati che difendano i facchini nel settore spettacolo non ce n’è, inutile e fuorviante sarebbe farne uno: incontriamoci, discutiamo e passiamo ad un’azione collettiva, facciamo emergere questo pezzettino di ordinario sfruttamento sommerso, facciamo assemblee in ogni città dove esiste un settore di questo tipo per iniziare a bloccare tutti i megaspettacoli dove, per lo show e il suo business, si sfrutta e si mette a rischio la vita dei lavoratori semplici e specializzati. Organizziamo uno sciopero improvviso contro questa ennesima morte per il profitto altrui. Organizziamo una rivolta dei facchini del settore spettacolo, tentando di coinvolgere anche i tecnici più coscienti. Per non rimanere sepolti vivi accettando di tutto per tirare a campare, senza fare la nostra parte nella guerra, in cui per ora stiamo solo subendo colpi senza reagire, contro questo sistema sempre più in crisi e sempre più feroce ed assassino. Dalle fabbriche ai cantieri, fino ai palchi dei concerti.

Un facchino internazionalista

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