Vale
la pena ricordarlo perché con la solita cattiva informazione dei media –
che quando proprio non riescono a far “sparire” i momenti di piazza
come quello di ieri li relegano a una posizione assolutamente marginale
nel dibattito pubblico, isolati e criminalizzati fino a neutralizzarne i
contenuti e l’efficacia politica – c'è il rischio di perdersi la
notizia. Sabato a Roma circa 20.000 persone sono scese in piazza, nella prima giornata di mobilitazione contro il governo Renzi.
Una
piazza riempita con generosità e determinazione da immigrati,
occupanti di casa, lavoratori, studenti, ma anche da collettivi e realtà
politiche diverse, dai tanti compagni che ogni giorno portano avanti
lotte in tutta Italia. Un pezzo importante di proletariato metropolitano
che subisce in prima persona gli attacchi che vengono sferrati da
governi e padroni di turno – e il Piano Casa e il Jobs Act sono solo gli
ultimi in ordine di tempo... – e che da sempre prova a opporsi e a
costruire un’alternativa radicale alla miseria in cui ci costringono a
vivere.
Una piazza, insomma, che ha provato a mettere al
centro le esigenze e le necessità di chi non vuole morire di
sfruttamento, di precarietà o di disoccupazione, e rivendica il
sacrosanto diritto a una casa, a un salario decente, una sanità
pubblica, a servizi sociali accessibili a tutti.
Era un corteo
difficile, lo sapevamo da prima, dai giorni precedenti in cui ci siamo
messi a lavoro per provare a costruire e allargare la partecipazione a
questa giornata, per far crescere l'attenzione su quello che avrebbe
potuto esprimere questa piazza.
Un corteo difficile in parte per limiti oggettivi,
che vanno al di là di noi stessi, delle nostre capacità o debolezze,
limiti posti dalla stessa fase politica che attraversiamo: tanto
malessere e rabbia che covano sotterranei, incapaci di esprimersi fuori
dalla rassegnazione, dall'egoismo o al di là della speranza nell'attesa
di un salvatore qualsiasi. E, soprattutto, incapaci di essere
trasformati in elementi di coscienza condivisa su cui costruire una
progettualità organizzata, conflittuale e radicalmente opposta
all'attuale stato di cose.
Così – non dobbiamo nascondercelo – non
esiste ancora una sensibilità comune contro il Governo Renzi e
purtroppo neppure contro l'Unione Europea come costruzione politica
antiproletaria e orizzonte dentro cui l'azione del governo si
inserisce e si sviluppa. Questo perché – nonostante le lotte quotidiane,
le battaglie che si portano avanti e le piccole vittorie che pure si
riescono a strappare – i nostri continuano a subire
un'offensiva padronale tout court, materiale e ideologica, a cui la
borghesia ha impresso un'accelerazione senza precedenti negli ultimi
tempi, dotandosi del volto giovane e accattivante di Renzi per uscire
dall'impasse della crisi, per rendersi “competitivi” e “moderni” il più
velocemente possibile, costi quello che costi. Parlando, come abbiamo
fatto in questi giorni con studenti, disoccupati, lavoratori più o meno
precari, la sensazione è che siano ancora tutti in una fase di attesa
per capire che farà questo Governo, attendendosi magari nel giro di
qualche mese di vedere qualche risultato…
A questo scenario, già di per sé non idilliaco, si sono sommate le nostre debolezze come movimento, limiti di carattere soggettivo
e su cui non ci vogliamo dilungare troppo. Di certo, è evidente che ha
pesato l'incapacità di allargare e includere nella costruzione della
piazza di ieri tutto ciò che di oppositivo si muove, adagiandosi forse
sulla “rendita” lasciata dalle giornate del 18 e del 19 ottobre scorsi e
impedendo alla mobilitazione di crescere quanto, pur in questo contesto
difficile, avrebbe potuto. Ne è uscito così un corteo nazionale ridotto
nei numeri, essenzialmente “romano”, con tante – probabilmente troppe e
a tratti confuse – parole d'ordine, di fatto incentrato solo sulla
questione della casa.
Eppure abbiamo provato a starci, non per
semplice “testimonianza” ma perché abbiamo ritenuto quella piazza
un'opportunità da cogliere per dire la nostra su quello che il Governo Renzi ha già fatto e su quello che farà, sugli effetti che questo avrà sulla vita della maggior parte delle persone che vedranno peggiorare da subito
le loro condizioni di vita e lavoro con l'ulteriore precarizzazione dei
contratti, la spinta e il livellamento dei salari al ribasso, l'attacco
ad ogni tipo di tutela pur di aumentare la “flessibilità” in entrata e –
a breve – quella in uscita...
Per questo eravamo davvero in tanti dietro lo spezzone "Uniti e inflessibili contro il Jobs Act":
centinaia di studenti, precari, disoccupati e lavoratori – fra tutti
quelli di Aci Informatica, ma anche molti insoddisfatti e scontenti dei
sindacati confederali). Vicini, materialmente e idealmente, ai
braccianti e ai facchini della logistica del Si Cobas che hanno portato
in piazza la loro energia, la loro esperienza di lotta. Uno
spezzone rumoroso e determinato, che insieme a tante altre compagne e
compagni ha saputo tenere di fronte alla brutalità delle forze
dell'ordine a piazza Barberini, quando la polizia si è lanciata
in una folle carica scendendo da Via Veneto, e i carabinieri hanno
picchiato pesantemente il fondo del corteo.
Nonostante
questo, la violenza della risposta delle forze dell'ordine ha prodotto
decine e decine di manifestanti feriti, fermi e denunce. La
situazione confusa creata dalle cariche della polizia ha fatto anche sì
che un ambulante peruviano di 47 anni abbia perso una mano. Un episodio
per noi sconvolgente, rarissimo per fortuna, ma che merita tutti i
nostri pensieri, la nostra vicinanza umana, anche perché quest’uomo con
le mani ci lavora, e dobbiamo immedesimarci nella sua situazione ancora
di più di come lo avremmo fatto per qualsiasi ragazzo ferito gravemente
in una situazione di piazza… Anche perché, come concordano numerose
testimonianze, i soccorsi sono arrivati in ritardo, rallentati dalle
operazioni della polizia, e il suo stesso nipote non è stato minimamente
sostenuto mentre cercava di aiutare lo zio.
I compagni
arrestati invece sono cinque, già immediatamente bollati come gli
“irreversibili antagonisti”, i “soliti violenti”, e potremmo andare
avanti all'infinito... Si tratta invece di ragazzi come Ugo, studente
universitario di Napoli da sempre presente nelle lotte di questa città,
da quelle per l’istruzione pubblica a quelle per il diritto all'abitare.
A Ugo e agli altri compagni va tutto il nostro supporto e la
nostra solidarietà, l'impegno a tirarli fuori da lì il prima possibile
e a dimostrare in maniera decisa e forte alla controparte che ci
vorrebbe affossati e incapaci di reagire ai suoi attacchi che non
esistono manganelli, non esistono lacrimogeni e fermi che tengano
davanti alle nostre ragioni e alla voglia di cambiare l'esistente.
In ogni caso, se ci siamo presi un attimo per riflettere su ieri è per meglio costruire le giornate di domani.
E non ci riferiamo solo alle prossime date o scadenze di movimento, ma
proprio ai prossimi giorni, per costruire un percorso collettivo che si
allarghi e migliori sempre di più di qui ai prossimi mesi. Domani, come
ieri, saremo di nuovo nelle facoltà e nelle scuole, sui territori, sui
posti di lavoro a raccontare questa giornata e a guardare oltre,
mettendo su dal basso delle nostre esperienze una risposta concreta e
organizzata in cui possano riconoscersi gli sfruttati e gli oppressi di
questo paese, un'opposizione al Governo Renzi, all’Unione Europea
quantomeno all'altezza dell'attacco che ci viene sferrato. Continuando
il lavoro quotidiano e di massa, ovunque si manifesti la contraddizione
tra capitale e lavoro.
Uniti e inflessibili contro il Jobs Act
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